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Tutti gli effetti dell’elezione di Tajani a presidente del Parlamento europeo

Tajani

L’elezione di Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento europeo, oltre a rappresentare un alto riconoscimento per il nostro Paese e per le formazioni politiche italiane aderenti al Partito popolare europeo, potrebbe determinare riflessi sensibili anche sugli equilibri nazionali, in un momento così incerto e delicato.

Da trentasette anni nessun italiano aveva rivestito questo prestigioso incarico che, in precedenza, era toccato soltanto a due nostri connazionali, gli ex presidenti del Consiglio Mario Scelba ed Emilio Colombo, ma in un contesto completamente diverso, quando l’Europarlamento non era ancora elettivo e le istituzioni comunitarie contavano meno nella vita dei cittadini europei, mentre la Dc italiana, a cui i due ex premier appartenevano, era una forza decisiva in quelle stesse istituzioni.

Oggi il maggior partito italiano aderente al Ppe è Forza Italia, di cui fa parte lo stesso Tajani. L’adesione di Forza Italia alla massima organizzazione politica transnazionale europea si celebrò nel 1999, in un’atmosfera tutt’altro che pacifica e distesa, a causa della strenua resistenza dei popolari italiani, collocati, sul piano nazionale, nello schieramento di centrosinistra e di prevenzione nei confronti di Silvio Berlusconi che lambiva anche settori di partiti non italiani, aderenti al Ppe. Tale prevenzione continuò a serpeggiare, a fasi alterne, nelle leadership del centrodestra europeo e toccò, a mio giudizio, la sua fase apicale nell’esibizione degli ormai “storici” sorrisetti di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel (entrambi del Ppe), durante una conferenza stampa dell’autunno 2011, in un momento di grande difficoltà per il Cavaliere (e per l’Italia) e poco prima della drammatica caduta del suo quarto governo, quello del 2008-2011.

Dall’ulteriore riduzione di consenso subìta da Forza Italia e dalla minore influenza del suo leader sullo scenario politico nazionale, registratesi negli ultimi anni, avrebbe potuto derivare, in virtù della predetta strisciante diffidenza delle leadership europee, una crescente emarginazione di Forza Italia all’interno del Ppe. Così evidentemente non è stato, se oggi, alla massima carica dell’Europarlamento – e, a mio giudizio, la più prestigiosa e autorevole, sotto il profilo della legittimazione democratica – viene eletto uno dei dirigenti più rappresentativi della stessa Forza Italia, da sempre molto vicino a Berlusconi, di cui è stato strettissimo collaboratore. L’elezione di Tajani è dovuta certamente alle indiscutibili capacità che lo stesso ha rivelato nell’espletamento degli incarichi rivestiti, in questi anni, in ambito europeo e alla stima e credibilità acquisite sul piano personale, ma costituisce anche un motivo d’orgoglio per l’Italia, spesso bacchettata severamente dalle élite nordeuropee per le sue difficoltà interne e a rischio di procedure di infrazione. Ma anche un riconoscimento e un attestato di fiducia nei confronti di Forza Italia, il partito tuttora presieduto e guidato da Berlusconi. Se un uomo a lui molto vicino, viene investito di una tale fiducia, venendo indicato come candidato ufficiale dei popolari alla presidenza del Parlamento – e poi eletto – si può ritenere che, in sede europea, quell’ostracismo che a volte si è ritenuto di ravvisare nei confronti del leader di Forza Italia non sia poi così rispondente alla realtà dei fatti.

Come rileva Stefano Folli (la Repubblica del 18 gennaio), l’elezione “consolida il legame tra Forza Italia e l’ortodossia europeista”. Come non immaginare, a questo punto, ripercussioni nel confuso scenario nazionale di casa nostra? Sempre più improbabile appare una strategia di alleanza tra Berlusconi e la Lega euroscettica, che non ha sostenuto Tajani e che si sente confortata dalle lodi di Trump alla Brexit e confida nel traino che potrebbe derivarle da un’eventuale vittoria di Marine Le Pen nelle presidenziali francesi, il cui esito resta peraltro ancora assai incerto.

Berlusconi e Forza Italia si collocano, in tutta evidenza, nell’alveo dell’europeismo, con i necessari correttivi che insuccessi e delusioni degli ultimi anni rendono necessari. Le strade, rispetto alla linea scelta da Salvini, sembrano, dunque, dividersi, soprattutto alla luce di questa “attrazione fatale” per il sistema proporzionale, che pare investire il ceto politico, dopo lo shock referendario del 4 dicembre. Una legge elettorale proporzionale renderebbe meno stringente per Berlusconi la necessità di un’alleanza con la Lega, come rileva Folli, nel citato articolo. La conquista del massimo scranno di Strasburgo da parte di Tajani può incoraggiare, dunque, insieme alla riscossa proporzionalista, una svolta centrista di Forza Italia e offrire dunque un’occasione anche a quei moderati che forzisti tuttavia non sono, per realizzare in Italia una forza di dimensioni consistenti, unita e ispirata al popolarismo europeo, tante volte evocata in questi venti e più anni, in cui l’area liberale e popolare si è troppo spesso caratterizzata per le divisioni, le lotte interne e i tentativi di modesto rilievo che hanno sfiorato, in più occasioni, l’irrilevanza.

E Renzi? Dopo la traumatica sconfitta nel referendum costituzionale e il probabile accantonamento dell’Italicum (che sia da parte della Corte – ancora non ci è dato saperlo – o anche della sola volontà politica maggioritaria), si trova veramente davanti a un bivio: o farsi risucchiare dalle posizioni della sinistra tradizionale, sempre forti nel suo partito, o seguire, con attenzione, i possibili processi di riaggregazione che potrebbero maturare nell’universo centrista e reimpostare un dialogo costruttivo in quella direzione.



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