Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Come si dividono gli Stati dell’Opec sul petrolio

Petrolio

(Seconda parte di un’analisi articolata. La prima parte si può leggere qui)

Due anni fa, l’Opec ha invaso il mercato con greggio a prezzi di saldo proprio per eliminare dal tavolo di gioco il gas e il petrolio estratto da terreni scistosi (Shale Oil & Gas) attraverso le moderne tecniche di idrofratturazione idraulica. Al di là delle problematiche ambientali, queste tecnologie sono molto costose e portano fino ai 60 dollari il prezzo di estrazione di un barile di greggio texano. Questo tipo di giacimenti è molto diffuso proprio negli Stati Uniti. Infatti, con il prezzo del barile sopra i 100 dollari, l’America – nonostante sia il primo fra i consumatori di energia – non era più uno dei principali importatori, ma era addirittura diventato un Paese esportatore di petrolio. È chiaro che, agli attuali prezzi di vendita, non conviene più estrarre idrocarburi dagli scisti ma mantenerli come riserva strategica su cui poter contare in caso di guai internazionali.

Lo stesso ragionamento si applica al petrolio estratto dal Mare del Nord. Il cosiddetto Brent, il vettore energetico principale della Gran Bretagna, ha un costo di estrazione che oscilla sui 45-55 dollari al barile a causa dei costi di gestione delle piattaforme. Anche in questo caso, all’OPEC non converrà affatto permettere che il Brent si rimetta in gioco. E infatti, dopo anni di produzione in perdita, gli inglesi stanno completando lo smantellamento delle infrastrutture petrolifere nel Mare del Nord.

È vero che forti investimenti nella ricerca e nello sviluppo di tecniche di fracking più efficienti hanno portato alcuni pozzi nella formazione Bakken (tra il Montana e il Nord Dakota) ad avere costi di produzione del barile WTI (West Texas Intermediate) attorno ai 30 dollari, ma si tratta di casi eccezionali.

D’altra parte, Arabia Saudita e Kuwait non possono permettersi di spingere l’intera Opec a puntare su prezzi troppo bassi sia per non diminuire troppo i profitti (anche se i media non ne parlano, l’Arabia Saudita si sta svenando nella guerra in Yemen) sia perché non tutti i Paesi membri possono permettersi di tagliare la produzione in questo momento. L’Algeria, ad esempio, deve garantire la coesione sociale con una produzione sostenuta per non rischiare anche in casa propria una Primavera Araba a scoppio ritardato.

Per tutti questi motivi l’OPEC non potrà forzare i prezzi al ribasso come negli ultimi anni ma, allo stesso tempo, non può permettere al barile di salire sopra i 55 dollari.

(2.continua)

×

Iscriviti alla newsletter