La RADA, una milizia che va anche sotto il nome di Forze Speciali di Deterrenza, ed è considerata lo Swat Team del governo tripolino onusiano di Fayez Serraj, ha raccolto delle informazioni in più sull’attentato avvenuto a Tripoli il 21 gennaio. Più o meno alle otto di sera di sabato scorso una vettura è saltata in aria in un’area centrale della città, il quartiere al Dahra, dove si trova il ministero della Pianificazione dello pseudo-governo Serraj, un paio di alberghi internazionali (usati da stranieri) e le ambasciate egiziana ed italiana. L’esplosione è avvenuta di fronte all’hotel Lybia Palace, a 350 metri dalla sede diplomatica di Roma, e secondo gli uomini della RADA che si stanno occupando dell’indagine era proprio l’ambasciata che l’Italia ha riaperto due settimane fa l’obiettivo degli attentatori. Di più: secondo gli specialisti della pseudo-polizia libica (che però in realtà è una milizia che risponde al leader religioso-moderato Abdul Raouf Kara) l’attacco è stato compiuto da uomini collegati al generale Khalifa Haftar, la guida militare dell’Est libico che si oppone al progetto delle Nazioni Unite. Stessa linea sostenuta dalla Tripoli Revolutionaries Brigades, altra milizia locale che sotto la guida di Hitam Tajuri ha seguito pezzi dell’indagine.
CALMA E PROCEDIAMO CON LE INDAGINI
Sia il governo Serraj sia l’Italia avevano in precedenza minimizzato sul fatto che l’ambasciata potesse essere il reale obiettivo. Ahmed Safar, l’ambasciatore libico a Roma, in una conferenza stampa nella sede diplomatica, ha detto che le indagini sono ancora in corso e dunque occorre cautela. Stesso messaggio lasciato dal generale Paolo Serra, consigliere militare dell’inviato speciale dell’Onu in Libia Martin Kobler, durante l’audizione al Copasir mercoledì: calma con queste dichiarazioni, perché molto spesso sono propaganda spinta dai sempre più forti contrasti tra Est e Ovest del paese. Repubblica, attraverso l’inviato a Tripoli Vincenzo Nigro, parla invece di “una fonte italiana” che ha detto: “La mole e il tipo di dettagli che ci sono stati forniti indicano che l’inchiesta di polizia (quella di Kara più Tajuri, ndr) potrebbe essere assolutamente verosimile”.
LA DINAMICA, SECONDO LA RADA
Le dichiarazioni ufficiali rilasciate dalla RADA: prima, sarebbero uomini legati all’operazione “Dignità”, ossia la campagna militare con cui Haftar un paio di anni fa ha iniziato a “liberare la Libia dal terrorismo”; in realtà è più un piano egemonico sul paese che adesso minaccia Tripoli, forte anche del sostegno russo, egiziano ed emiratino. Poi: sono collegati ad Haftar, ma non è chiaro se ci sia stato coordinamento con il comando militare dell’Est libico o hanno agito spontaneamente. La dinamica: i due avrebbero dovuto parcheggiare l’auto esplosiva vicino al muro dell’ambasciata, con l’obiettivo, forse, non di compiere una strage, ma soltanto di dimostrare che il governo Serraj non riesce a gestire adeguatamente la sicurezza cittadina (nemmeno quella dei funzionari diplomatici del suo principale alleato, l’Italia appunto). Ma la via che costeggia il posto diplomatico italiano è super controllata e intasata: il movimento del veicolo avrebbe insospettito le guardie, che sarebbero intervenute e mandato via l’auto. Uno di loro avrebbe seguito la vettura fino al punto dell’esplosione: non è chiaro il perché, ma sembra che l’innesco sia saltato attivando la deflagrazione e i due attentatori sono morti all’interno del veicolo. Secondo la RADA non doveva andare così, perché i due avrebbero dovuto soltanto parcheggiare l’autobomba per poi salire a bordo di un’altra macchina che li aspettava, dove alla guida avrebbero trovato Omer Kabout, indicato dalle Forze di deterrenza per nome come gli altri due rimasti uccisi e considerato un coordinatore delle attività clandestine di Haftar nell’Ovest libico. Tutto va al condizionale (se c’era una spia che avrebbe dovuto portar via i due con una seconda macchina, allora c’era pianificazione?). “Non rispondiamo a queste sciocchezze”, ha detto il Ahmed El-Mismari, portavoce militare del generale dell’Est libico, contattato per telefono dall’Ansa: “Noi lottiamo contro il terrorismo”.
TUTTI CONTRO L’ITALIA
La questione è certamente da prendere con le molle, perché i gruppi armati dei due lati della Libia si detestano e spesso spingono la propria propaganda con ricostruzioni contro gli avversari: semplificando, per Haftar tutti a Ovest sono terroristi, per i tripolini il generale è un dittatore da combattere. Ma fosse vera (sia si tratti di un gesto spontaneo, sia di un’operazione programmata) renderebbe ancora più critico il ruolo di Roma, perché si inserisce in un innegabile sentimento anti-italiano che si sta diffondendo in Libia nelle ultime settimane. Sia chi a Tripoli si oppone alla costruzione di un governo di unità (per esempio le milizie politico-religiose che rispondono all’ex autoproclamato premier Khalifa Ghwell), sia chi sta ad Est, ha iniziato a veicolare un messaggio: in Libia sono tornati gli italiani, ci hanno occupato di nuovo piazzando soldati a Misurata (sono quelli a protezione dell’ospedale che ha fornito assistenza medica ai misuratini pro-Serraj che hanno scacciato lo Stato islamico da Sirte, ma nella narrativa vengono raccontati come un’occupazione militare) e riaprendo l’ambasciata stanno muovendo trame contro la nostra sovranità. Parola chiave in queste minacce: “Fascismo”, con conseguenti ricorsi all’epoca coloniale. Da notare che questa linea riprende quella dell’IS, che da tempo sostiene che dalla Libia attaccherà l’Italia.