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Perché sono ineccepibili i verdetti della Consulta sui referendum promossi dalla Cgil

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In attesa di conoscere le motivazioni, consideriamo ineccepibili i verdetti della Consulta sui quesiti referendari promossi dalla Cgil. Soprattutto per quanto riguardava la questione più delicata – il quesito in materia di licenziamenti individuali – i giudici costituzionali, dichiarandone l’inammissibilità, si sono attenuti ad una giurisprudenza consolidata, senza avventurarsi nella ricerca di “precedenti’’ (in realtà caratterizzati da profili giuridici differenti) sui quali fondare il via libera ad referendum dagli effetti devastanti.

Una decisione in senso contrario sarebbe stato un atto di irresponsabilità, perché non avrebbe avuto senso arrampicarsi sugli specchi del diritto, incamminarsi nella terra di nessuno dell’arbitrio, quando si trattava di prendere posizione su di un atto di criminalità economica, come era appunto il tentativo di introdurre, anche nelle microimprese, la reintegra giudiziale – al posto del risarcimento monetario – a sanzione del licenziamento ritenuto illegittimo.

Per quanto riguarda invece gli altri due quesiti – riguardanti l’abolizione dei voucher e la normativa sugli appalti – la Corte non poteva decidere altrimenti, essendo anch’essi atti di criminalità economica, ma compilati in modo conforme alle leggi. Non è un processo alle intenzioni, infatti, ritenere che la domanda sul licenziamento sia stata, invece, scritta in modo pedestre proprio per farsela bocciare.

Con il responso della Consulta viene meno anche un motivo per anticipare il voto entro la prima metà dell’anno. E, soprattutto, il Parlamento può avere la possibilità e il tempo di introdurre modifiche delle normative vigenti, ridando così la parola ai giudici per verificarne l’adeguatezza rispetto al contenuto dei quesiti.

C’è poi un’altra riflessione da fare. L’allarme suscitato dai “colpi di teatro’’ della Cgil è stato un po’ figlio della psicosi determinata dal voto del 4 dicembre. Perché non era un’ipotesi irrealistica immaginare che gli italiani disertassero in maggioranza le urne. Era già accaduto in passato in occasione di un referendum – ammesso dalla Consulta – rivolto ad estendere l’articolo 18 dello Statuto a tutti i lavoratori e ai datori di lavoro. Può essere che vi sia lo stesso esito astensionista quando si andrà a votare sui voucher e sugli appalti.

Mentre sul secondo aspetto sarà difficile spiegare i termini effettivi del problema (il quesito si propone di lasciare solo il committente a rispondere in solido senza dargli la possibilità di agire, a sua tutela, contro le irregolarità commesse dall’appaltatore e dai subappaltatori), sulla questione di buoni lavoro dovremo sorbirci mesi di mistica del precariato, con i talk show schierati per il sì. Fu così anche nel caso del referendum No Triv, ma gli italiani non ci cascarono.

Staremo a vedere. Ciò che è provata, comunque, è la irresponsabilità di una grande organizzazione come la Cgil che non ha esitato a servirsi, cinicamente e con leggerezza, della roulette russa dei referendum su materie estremamente delicate soltanto perché la questione faceva parte del patto di potere intervenuto tra Susanna Camusso e Maurizio Landini. Con in palio la segreteria generale della Cgil.

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