Nella conferenza stampa di fine anno il presidente Paolo Gentiloni ha affermato, fra l’altro, che il suo Governo proseguirà il cammino intrapreso dall’Esecutivo guidato da Matteo Renzi in tema di riforme, nient’affatto riducibili a quella istituzionale bocciata dal referendum del 4 dicembre: “Non abbiamo scherzato al riguardo” ha aggiunto il Premier, facendo un chiaro riferimento alla necessità di portare innanzi, completare ed anche migliorare provvedimenti innovativi che stanno segnando in profondità la vita del Paese.
Al riguardo, chi scrive ritiene opportuno ribadire un’ovvietà, e cioè che quelle riforme rispondevano ad esigenze non più eludibili dell’Italia e che, pertanto, nessuno può pensare che, dimessosi Renzi, si possa bloccare quanto è stato messo in campo dal suo governo per ridare slancio al Paese.
Certo, si potranno affinare o modificare, migliorandoli, alcuni provvedimenti, come si è incominciato a fare con la legge sulla Buona scuola, ma la ratio più autentica delle sue norme fondamentali non dovrebbe essere mutata, pena un arretramento pauroso – qualunque sia l’opinione al riguardo di molti docenti e sindacalisti – dell’intero sistema formativo nazionale.
Ora, senza volerci soffermare su tutti i provvedimenti di riforma del Governo Renzi, se ne vuole citare qualcuno in particolare che, pur non interessando la grandissima opinione pubblica, in realtà è destinato a incidere in termini epocali su materie complesse e delicate come l’assetto della portualità italiana e il campo vastissimo dei lavori pubblici. Le riforme che li hanno riguardati sono state volute fortemente dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio e stanno già concorrendo la prima, la riforma della portualità, a ridurre e riordinare le neocostituite Autorità di sistema, avviando un deciso elevamento della competitività dei nostri scali marittimi chiamati già da anni a confrontarsi nel Mediterraneo con quelli al momento ben più competitivi di Barcellona, Pireo, Port Said, Tanger Med, solo per citarne alcuni.
Il PSNPL-Piano strategico nazionale della portualità e della logistica è stato il documento con cui il Dicastero guidato da Delrio ha avviato un riordino che naturalmente ha incontrato resistenze campanilistiche anche molto forti, ma prive quasi sempre di logiche economiche, se è vero che oggi le attività sulle banchine con tutti i mezzi d’opera che consentono di svolgerle, sono assimilabili a quelle industriali di vere e proprie imprese portuali, chiamate ormai a produrre sempre più in logiche di mercato servizi all’utenza a costi e in tempi il più competitivi possibili, al fine di accelerare al massimo l’arrivo di materie prime e beni finiti sulle aree di impiego e di consumo.
Ma veramente qualcuno pensa che si possa competere in Europa con i grandi porti di Rotterdam e Anversa, difendendo piccoli scali che non siano inseriti funzionalmente in vaste Autorità di sistema, capaci di gestire come singoli ‘porti multibanchine’ attracchi distribuiti territorialmente anche in diverse province e collegati ai grandi corridoi europei TEN-T?
E in materia di lavori pubblici il nuovo Codice degli appalti – D.Lgs 18 aprile 2016 n.50 – voluto anch’esso con forza dal Ministro Delrio ha introdotto fra le altre due fondamentali novità: la prima, definita con l’art.23, stabilisce che “la progettazione in materia di lavori pubblici si articola, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo”. Il primo, ovvero “il progetto di fattibilità tecnica ed economica individua, tra più soluzioni, quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e prestazioni da fornire”. A sua volta “il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti dalla stazione appaltante e, ove presente, del progetto di fattibilità”. Infine “il progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare, il relativo costo previsto, il cronoprogramma coerente con quello del progetto definitivo e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale che ogni elemento sia identificato in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo”.
Alla luce pertanto di tali criteri, si porrà fine a quanto accaduto per anni quando gli appalti – aggiudicati spesso su progetti con caratteri di provvisorietà – davano luogo poi a richieste da parte delle aziende di varianti, revisioni prezzi e rivalse che, una volta riconosciute, facevano lievitare spesso enormemente il costo delle opere da completarsi.
E la seconda novità introdotta dal nuovo Codice degli appalti è quella della project review che ha già portato – solo per fare un esempio fra i più clamorosi – alla revisione del progetto di ampliamento delle ultime tre tratte dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria – inaugurata il 22 dicembre scorso – perché un’accurata analisi dei flussi di traffico aveva dimostrato che la revisione di costose varianti su quelle tre tratte era funzionalmente possibile, consentendo così una riduzione dei loro costi da 3 a 1,1 miliardi. Ed anche per la project review il Ministro Delrio può avvalersi anche dell’apporto della nuova Struttura tecnica di missione, autorevolmente guidata da oltre un anno dal prof. Ennio Cascetta, che rappresenta un’autorità internazionale in materia di trasporti.
Allora, queste riforme del Governo Renzi e del Ministro Delrio – che hanno subito dimostrato alla prova dei fatti la loro grandissima utilità in termini di razionalizzazione dell’esistente e soprattutto di risparmi per la spesa pubblica – dovrebbero essere accantonate? E perché? Per tornare a pratiche deteriori del passato ormai insostenibili?