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Perché la rottamazione dell’Italicum è inevitabile

Mattarella, voto, Alto Adige elezioni

Prima di due puntate tratte dall’articolo “Le disavventure dell’Italicum e la Corte costituzionale” pubblicato dalla rivista Federalismi.it e scritto dal professor Vincenzo Lippolis, ordinario di diritto costituzionale italiano e comparato presso l’Università degli studi internazionali di Roma.

Venuto alla luce dopo un parto molto travagliato – una questione di fiducia considerata liberticida dalle opposizioni – l’Italicum appare destinato a morire nella culla, ad essere, cioè, entrato in vigore, ma mai applicato. Le ragioni di questa quasi sicura triste sorte sono due: da un lato, è politicamente ed istituzionalmente superato, dall’altro, pende su di esso il giudizio della Corte costituzionale che si pronuncerà il 24 gennaio.

L’Italicum è un sistema proporzionale con premio majority assuring, assicura cioè che una singola lista possa in ogni caso avere alla Camera una maggioranza di almeno 340 seggi (24 in più rispetto alla maggioranza assoluta). Il premio è attribuito alla lista che al primo turno ottiene il 40% dei voti validi. Se nessuna lista raggiunge tale percentuale, si procede ad un secondo turno di ballottaggio tra le due liste più votate (per un’analisi più dettagliata della legge n.52 del 2015 e delle critiche ad essa mosse, sia consentito rinviare a V. Lippolis, I sistemi elettorali, in La riforma della Costituzione, Instant book Corriere della sera, 2016, p. 149 ss.).

Sotto il profilo politico, esso nasceva dal Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi. Era un accordo tra i due soggetti politici che al momento si ritenevano i più competitivi e aveva tre obiettivi: 1) sterilizzare il M5s che non appariva in grado di poter conquistare il premio di maggioranza; 2) rendere la vita impossibile ai partiti minori (in particolare, Ncd) con la previsione di soglie di accesso molto elevate; 3) mantenere il controllo dei rispettivi partiti con la previsione di liste bloccate. Nel corso dell’esame parlamentare le soglie sono state abbassate e sono state inserite le preferenze salvo che per i capilista. Il premio è stato previsto per una singola lista e non per le coalizioni. Ma, a parte questi aspetti, col tempo è venuto meno l’obiettivo primario perché il M5s ha mostrato una capacità di crescita non prevista e oggi avrebbe molte possibilità di aggiudicarsi il premio nell’eventuale ballottaggio. L’Italicum è divenuto quindi politicamente inservibile per coloro che lo avevano ideato.

Con l’esito negativo del referendum del 4 dicembre 2006 sulla riforma costituzionale, esso è divenuto anche istituzionalmente inutilizzabile. Il ballottaggio di lista per funzionare correttamente impone il superamento del bicameralismo paritario e la titolarità del rapporto fiduciario in capo ad una sola camera. Con il rigetto della riforma, il Senato ha mantenuto i suoi poteri quanto alla fiducia e la sua legge elettorale è il sistema proporzionale risultante dalla sentenza n.1/2014 della Corte costituzionale (il c. d. Consultellum). La verità è che approvare l’Italicum prima della riforma costituzionale che affidava alla sola Camera la titolarità del rapporto fiduciario è stato un azzardo: visto l’esito del referendum, si è posto l’ordinamento costituzionale in una situazione di emergenza. E’ evidente che l’applicazione contemporanea di queste due leggi elettorali aumenterebbe le difficoltà di costituire una maggioranza e, di conseguenza, i rischi di ingovernabilità. Si potrebbe addirittura creare una situazione di impossibilità di formare un nuovo Governo.

Questo aspetto è stato giustamente colto e sottolineato dal Presidente della Repubblica, Mattarella, nel corso della soluzione della crisi di Governo conseguente alle dimissioni di Renzi. In tale frangente e in successivi interventi (gli auguri alle alte cariche dello Stato e il messaggio di fine anno) il capo dello Stato ha rimarcato con nettezza la necessità di armonizzare le leggi elettorali della Camera e del Senato, di avere cioè due leggi elettorali omogenee e non inconciliabili tra esse quale condizione per procedere a nuove elezioni. In particolare, riguardo all’ipotesi di scioglimento anticipato delle camere, il Presidente ha posto un freno e una condizione: “Occorre” – ha detto – “che vi siano regole elettorali chiare e adeguate perché gli elettori possano esprimere, con efficacia, la loro volontà e questa trovi realmente applicazione nel Parlamento che si elegge”.

E’ necessario quindi riallineare le leggi elettorali per far sì che la composizione delle future Camere possa essere, per quanto possibile, omogenea ed eliminare una distonia (maggioritario alla Camera, proporzionale al Senato) che può inceppare gravemente il funzionamento del nostro regime parlamentare.

Per altro verso, non è pensabile estendere l’Italicum al Senato. Nella situazione attuale, con un sistema partitico di fondo tripolare (o quadripolare?), ma comunque ancora molto frammentato non si può escludere che ai due diversi ballottaggi per Camera e Senato accedano coppie di liste diverse e che differente sia, nelle due sfide, il vincitore finale tenuto conto che il corpo elettorale di Camera e Senato è diverso poiché per quest’ultimo votano solo coloro che hanno compiuto venticinque anni. Se ipotesi del genere si verificassero saremmo nel caos.

Addio all’Italicum dunque. Ma un addio che potrebbe avere tempi non brevi. Poiché infatti nei confronti della legge pende un giudizio di costituzionalità, i partiti hanno deciso di attendere la sentenza della Corte prima di avviare un formale iter di riforma e si sono finora limitati ad enunciare le loro posizioni di principio e, forse, a trattative sotterranee prima di avviare il formale procedimento parlamentare.


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