Prima pagina di Repubblica, 1 aprile 2016: “Petrolio e appalti. Guidi si dimette. Tradita dalle telefonate del fidanzato. E cita la Boschi“. Prima pagina del Giornale, 1 aprile 2016: “La ministra [Federica Guidi] garantiva gli affari del suo uomo. Tirati in ballo Renzi e Boschi”. Qualcuno provi a trovare, sui quotidiani di ieri, la notizia dell’archiviazione dell’inchiesta nota come “Tempa Rossa”, che diede un quarto d’ora di celebrità alla procura di Potenza. Avrebbe bisogno di un lanternino. Eppure perfino il paludato Corriere della Sera non aveva esitato a pubblicare editoriali indignati e moraleggianti sulla Trivellopoli del Sud, per dimostrare che la “sguattera del Guatemala” (come si autodefiniva sempre la Guidi in una conversazione privatissima col compagno) era la punta dell’iceberg di un governo corrotto e limaccioso.
Lasciamo stare il Fatto, per il quale “o il Codice è bucato, o i pm si sono distratti”. Ma Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, che allora parlarono di “Piovra Pd” (come poi parleranno di “Gomorra Pd” a proposito Stefano Graziano, il presidente del Partito democratico campano accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, anche lui assolto), perché ora tacciono? La verità è, come dimostrano anche i fatti più recenti, che Beppe Grillo ha ragione: la presunta “svolta garantista” del M5s è una bufala solenne.
Un’ultima considerazione. Come ho già avuto modo di scrivere su Formiche.net, insieme ai media e al web, la magistratura è ormai la colonna di una costituzione silenziosa in grado di trasformare ogni partito politico in una cricca di malfattori. Essa, al contrario, resta intoccabile. Pena il rischio che venga messo in questione il tabù della sua autonomia. È vero, non mancano le accorate considerazioni sulle lungaggini e sulle inefficienze dell’iter giudiziario. Senza però che i loro costi -sociali, economici, umani- varchino mai la soglia del piagnisteo impotente e della – altrettanto inconcludente – vaga proposta di riforma. Se non intervengono le manette, il politico, l’amministratore o il manager sotto accusa entrano nel cono d’ombra di un cammino processuale di cui si perderanno rapidamente le tracce. Salvo tornare sui giornali nel momento della condanna definitiva o, ma assai più marginalmente, del proscioglimento.
Ebbene, in giurisprudenza si parla di lite temeraria quando si agisce (o si resiste) in giudizio con mala fede e colpa grave, ossia con consapevolezza del proprio torto o con intenti dilatori. Questo comportamento è illecito, e può essere sanzionato con il risarcimento di tutti i danni alla parte lesa. Di fronte a casi manifesti di “indagine temeraria”, non dovrebbe valere lo stesso principio?
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Con il no della Consulta al referendum della Cgil sull’articolo 18 si allontana lo spettro (per i più) del voto anticipato. Non c’è niente da fare: in questa legislatura moriremo tutti democristiani (anche se della sinistra Dc)
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En attendent Godot: adesso tutti aspettano la sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum. Anche quelli che al referendum volevano difendere la repubblica parlamentare e si ritrovano con una repubblica giudiziaria. Dobbiamo rassegnarci: in Italia “la politica è l’arte di cercare guai, di trovarli sempre e dovunque, di farne una diagnosi inesatta e di applicare i rimedi sbagliati” (Groucho Marx).
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La Cgil è ipocrita, ha detto Tito Boeri commentando l’ingente somma spesa dalla Confederazione di Susanna Camusso per l’acquisto di voucher. Meno male che il presidente dell’Inps non è Roberto Giachetti.