(Seconda parte di un’analisi articolata. La prima parte si può leggere qui)
La freddezza mostrata finora dagli americani verso il settantacinquenne Haftar ha varie ragioni. Prima di tutto, questo non governa l’intera area orientale della Libia ma – nonostante l’aiuto degli Emirati e dell’Egitto – mostra difficoltà a eliminare le ultime sacche di resistenza del Califfato da alcuni distretti di Bengasi dove alcune centinaia di terroristi continuano a controllare il territorio. Per questo, non sembra ora così probabile che possa rapidamente conquistare la Libia occidentale, incluse Tripoli e Misurata. Qui, infatti, l’arcipelago di milizie armate è ancora solido, ben equipaggiato e complessivamente superiore alle forze dei due governi antagonisti. Per questo motivo, nonostante le manifestazioni di amicizia fra la Russia e il governo di Haftar, tanto Washington quanto Mosca in questo momento stanno tenendosi aperte tutte le opzioni. Hanno ormai compreso il reale potenziale di Haftar e ritengono poco probabile che, senza un deciso aiuto esterno, possa effettivamente raggiungere il pieno controllo dell’intero Paese. Piuttosto, è elevato il rischio che possa riacutizzare la guerra civile che sta dilaniando il Paese ormai da sette anni.
In questo momento i due più influenti consiglieri di Trump sulle politiche mediorientali – Steve Barron e il libanese immigrato Walid Phares – stanno conducendo colloqui informali con numerosi esponenti libici di entrambi gli schieramenti. I russi intanto – dopo aver organizzato la plateale visita di Haftar a bordo della portaerei russa Ammiraglio Kuznetsov al largo della Cirenaica – hanno invitato al-Serraj per una visita ufficiale direttamente a Mosca.
Oltre alle questioni militari, si prevede che i russi discuteranno con al-Serraj della possibile riattivazione dei contratti stipulati dalla compagnia di Stato Gazprom nel 2011 per l’esplorazione e la produzione di olio e gas. A questi si aggiungono quelli per la realizzazione di 600 km di linea ferroviaria Bengasi-Sirte e la possibile realizzazione di un altro tratto ferroviario Tripoli-Tobruk. In totale si parla di 10 miliardi di dollari in contratti congelati da sei anni contando soltanto quelli già firmati da Gheddafi.
È ovvio che, vista l’importanza politica, militare e – soprattutto – energetica della Libia, tanto la Russia quanto l’America abbiano maturato una visione strategica di lungo periodo sull’ex “scatolone di sabbia” e non vogliano ora sbilanciarsi troppo fra Haftar e al-Serraj per non rischiare di puntare sul cavallo sbagliato.
Anche Al-Sisi ha fiutato l’aria e – dopo aver sostenuto attivamente Haftar per oltre tre anni – in questi giorni sta avvicinando milizie anti-Haftar nella zona occidentale, soprattutto a Misurata.
(2.continua)