Le notizie dalla Libia sono di due generi: da un lato la critica situazione del Paese in cui si muove il primo ministro che l’Onu vorrebbe portare al pieno dei poteri, Fayez Serraj, dall’altro le dinamiche di coloro che rappresentano le opposizioni, con un occhio su quello che ha intenzione di fare la Russia, diventata un player centrale negli ultimi mesi. E le due cose ovviamente si sovrappongono.
Lunedì il convoglio in cui viaggiava Serraj è finito sotto una grandinata di proiettili di mitragliatrice mentre passava nei pressi dell’hotel Rixos, che in questo momento fa da quartier generale a Khalifa Ghwell, l’ex premier tripolino e opposizione occidentale al governo onusiano. Le auto in cui viaggia Serraj sono Suv con blindatura professionale fornite dall’Onu, e non sono state intaccate dai colpi, però il segnale resta. Ci sono indagini sui colpevoli, anche se gli uomini di Ghwell, che hanno già cercato in un paio di occasioni un colpo di stato simbolico, restano in cima ai sospettati. Su Ghwell in questo momento, dopo un incontro avuto a Tunisi con l’ambasciatore russo Sergei Nikolaev il 14 febbraio, pende anche un dubbio ulteriore: sta lavorando con la Russia da Ovest su un piano di avvicinamento con l’Est? “Le alleanze in Libia sono mutevoli e tattiche. È più un confronto di interessi locali e personali che una lotta ideologica. Però da qui a dare per certa una alleanza tra Ghwell-Haftar contro Serraj ce ne passa”, risponde Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi e Head of Terrorism Research Program.
L’inserimento di Mosca nel dossier è stato finora un elemento di sbilanciamento verso Est, dove i russi hanno dimostrato apertamente il loro appoggio al generale Khalifa Haftar. Haftar sta conducendo una battaglia personale che militarmente ha come obiettivo le sacche radicali presenti a Bengasi, e politicamente ha come fine l’opposizione a Serraj (con velleità di sostituzione in qualche altro genere di accordo).
Quali sono gli obiettivi di Mosca? “La Russia può scegliere di fare di Haftar il suo-nuovo-Assad e fornirgli armi e intervenire al suo fianco”, spiega Mattia Toaldo, senior analyst presso l’European Council on Foreign Relations di Londra: “È dubbio però che ne abbiano le risorse e la voglia, visto che la Libia non è la Siria per loro”. E dunque a cosa mira Mosca? “L’alternativa è che i russi si facciano garanti di un accordo politico, magari più spostato verso Haftar e magari negoziato anche grazie al tradizionale alleato algerino”. Che genere di interesse c’è dietro? “Potrebbero usarlo politicamente, per dire che hanno un effetto stabilizzatore in Medio Oriente che l’Occidente non ha. In altre parole, potrebbero dire siamo riusciti dove avete fallito voi”.
“Fino a qualche tempo fa ero convinto che Haftar puntasse a prendere tempo, evitando un voto di fiducia di Tobruk verso Serraj e cercando di far deragliare il processo politico delle Nazioni Unite”, aggiunge Varvelli. Con quale piano? “Con il fallimento del Gna (l’acronimo con cui viene indicato il Governo di accordo nazionale veicolato dall’Onu, ndr), Haftar sarebbe rimasto l’unico attore credibile in campo”. Un piano per accreditarsi l’interlocutore finale del processo, dunque. “Nel frattempo infatti si è rafforzato, conquistando militarmente le strutture petrolifere nel tentativo di lanciare un’Opa sulla Libia”, continua Varvelli: “Chi controlla il petrolio controlla (indirettamente) la compagnia petrolifera nazionale e la Banca Centrale. Aprendo o chiudendo i rubinetti di fatto controlla l’economia”. E in questo, il ruolo della Russia? “La Russia ero convinto giocasse una partita più ampia. La Libia non è la Siria per gli interessi strategici russi, e mi sembrava più opportunismo che altro: giocava un ruolo dove gli Stati Uniti non erano più in grado o non avevano più intenzione di farlo, con la previsione di scambiare questa influenza con altre concessioni in zone più strategiche”.
Si parla al passato perché è cambiato qualcosa? “Le ultime settimane – spiega Varvelli – fanno pensare invece che ci sia un disegno egemonico dei due attori. Haftar è alla ricerca di nuovi padrini. Gli egiziani, e l’hanno dimostrato con il tentativo di incontro intra-libico, sembrano titubanti nel valutare positivamente una opzione militare che porterebbe a un nuovo conflitto alle porte di casa. Emirati e Russia sembrano invece più propensi e stanno aiutando Haftar. La Russia ha capito di avere campo libero in questo momento e temo voglia andare a vedere fin dove si può spingere”.
L’Italia ha più volte rivendicato un ruolo guida nella risoluzione della crisi libica: che sta facendo Roma? “Mi pare che l’Italia abbia fatto il possibile” chiosa Varvelli – e non tutto ha funzionato, dunque ora è alla finestra”. Lo scenario internazionale influenza la posizione italiana? “Più di tutto ha influenza la relazione tra Russia e Usa. Roma ha perso il supporto dell’amministrazione Obama e sta cercando di indirizzare, con qualche successo se guardiamo alle dichiarazioni del segretario di Stato Rex Tillerson, la posizione di Trump”. Finora Roma ha giocato il suo peso diplomatico per sostenere Serraj. “L’Italia ha rafforzato il più possibile il GNA convinta però, giustamente, che per arrivare a una pace fosse necessario un equilibrio tra le parti”.
La Russia ha mire anche nel campo petrolifero sembrerebbe: “Sì, ma l’ENI si è cautelata” aggiunge Varvelli: “È partner dei russi per il giacimento di Zhor in Egitto, ai quali ha concesso il 30%. Una sorta di intelligente contro-assicurazione anche su quanto potrà avvenire in Libia”. A proposito di questa dimensione energetica Toaldo aggiunge: “La russa Rosneft, in cui il Qatar ha di recente acquisito una partecipazione anche grazie al sostegno economico di Intesa San Paolo, è entrata nel campo di Zohr in Egitto, ma di recente ha anche firmato un accordo con la National Oil Company libica. E questo potrebbe costituire un incentivo ad un ruolo di Mosca da stabilizzatore più che da generatore di escalation”. Interessi, appunto: giovedì il capo dell’azienda militare statale russa Rostec, Sergey Chemezov, ha fatto sapere di un accordo preliminare chiuso con gli Emirati Arabi, alleati pro-Haftar, per la vendita di 24 caccia Su-35.