La maxi-operazione antiterrorismo in Germania ha portato all’arresto di una ventina di terroristi in varie località Ha visto un gigantesco impiego delle forze di sicurezza: sono stati impiegati oltre 1.000 poliziotti e componenti delle forze speciali anti-terrorismo. I terroristi arrestati sono provenienti prevalentemente dalla Tunisia. Tra di essi vi è un trentasettenne, ben noto alle autorità tunisine e alla polizia tedesca, perché sospettato di essere in qualche modo coinvolto nell’attentato di un anno e mezzo fa al Museo del Bardo. Al riguardo è risultata una carenza di scambio d’informazioni fra le forze di sicurezza tunisine e tedesche. Essa non aveva permesso il suo rimpatrio, disposto dalla Germania. Analogo caso era avvenuto per l’attentatore al mercatino di Natale a Berlino, Amri, eliminato poi dalla polizia italiana. Evidente è la necessità di aumentare gli sforzi europei per migliorare la cooperazione e l’efficienza delle forze di sicurezza degli Stati maghrebini.
Un’operazione anti-terroristica di tale entità dimostra sicuramente un miglioramento dell’intelligence tedesca, che finora non aveva dato grande prova di sé. Nel contempo solleva qualche interrogativo circa un possibile mutamento della strategia organizzativa del terrorismo internazionale. Esso ha sinora conosciuto due fasi ben distinte. Inizialmente, con al-Qaeda, era organizzato gerarchicamente. La direzione strategica pianificava accuratamente gli attentati, provvedeva al loro sostegno logistico, forniva armi ed esplosivi. Gli attentati venivano effettuati da professionisti addestrati nelle basi di cui disponeva l’organizzazione terroristica. Dopo gli attentati dell’11 settembre e l’aumento dell’azione di prevenzione e repressione delle forze di sicurezza occidentali, venne progressivamente adottata una nuova strategia, badata sul decentramento e sul passaggio da un’organizzazione centralizzata e gerarchica, a una a rete orizzontale, composta da piccole cellule o da terroristi singoli, i cosiddetti “lupi solitari”, difficili da individuare e da infiltrare, anche per gli stretti legami, anche familiari, che univano i componenti delle singole cellule. La direzione strategica si limitava a emanare direttive generiche. Le comunicazioni dirette frale varie cellule o i singoli terroristi erano ridotte al minimo ed effettuate prevalentemente via Internet, con sistemi di cifratura anche molto sofisticati, difficili da penetrare.
Il teorico di tale mutamento di strategia – denominata “leaderless”– fu Abu Musab al Suri, un siriano con cittadinanza spagnola, che aveva vissuto a lungo in Gran Bretagna. Le sue teorie furono ampiamente studiate dai servizi di sicurezza occidentali allorquando fu arrestato a Quetta, in Pakistan, nel 2005. Esse furono adottate sistematicamente da Mohammed al Adnani, capo di Aqap (al-Qaeda in the Arabian Peninsula), e influenzarono anche gli altri gruppi regionali, nati in vari paesi islamici a seguito della devolution” di al-Qaeda, nonchè le reti terroristiche facenti capo in Occidente ad al-Qaeda e all’Isis.
Il motivo del mutamento di strategia è più che evidente: i terroristi singoli, i cosiddetti “lupi solitari” e le piccole cellule sono meno vulnerabili e, al tempo stesso, più flessibili. Beninteso, sono meno potenti dei gruppi organizzati. Non sono in condizioni di svolgere appieno tutte le attività del “ciclo del terrorismo”, previste nella prima fase dell’attacco al “nemico lontano”. Inoltre, sono vulnerabili allorquando cercano di procurarsi armi ed esplosivi. Tale vulnerabilità esiste soprattutto in Europa, dove la regolamentazione e i controlli sono molto più rigidi che negli USA.
L’entità degli arresti in Germania di un numero tanto rilevante di terroristi induce taluni esperti a ritenere che forse il terrorismo ha deciso di organizzarsi anche in nuclei più consistenti, capaci quindi di compiere attentati più disastrosi. Forse – il dubbio è d’obbligo – ha giocato il ritorno di “foreign fighters” dalla Siria e dall’Iraq. Forse ha poi influito l’esigenza delle centrali terroristiche di prepararsi all’utilizzo di aggressivi chimici o biologici, che richiede un’organizzazione tecnica e logistica più sofisticata. E’ difficile dirlo.
Le forze di sicurezza occidentali devono prepararsi anche a fronteggiare attentati di maggiori dimensioni e più sofisticati di quelli a cui ci avevano abituati i “lupi solitari”. Essi potranno essere sventati solo con una collaborazione più efficace dei singoli cittadini, ottenibile solo con la diffusione della “cultura della sicurezza”, a cui tanta importanza viene dedicata dai Servizi d’Intelligence in Italia. Essi hanno comunque evitato di suscitare allarmismi eccessivi. L’eventualità di attentati di maggiori dimensioni va affrontata con calma e razionalità, evitando ogni paranoia da parte dei media. Una preparazione dell’opinione pubblica al loro accadimento e la messa a punto di un efficace sistema di comunicazione istituzionale in caso di emergenza fanno parte integrante della “cultura della sicurezza”.