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Trump, l’Italia e il G7 Energia

Carlo Calenda e Richard L. Morningstar

Finché durerà questo governo, l’energia sarà la principale questione di cui mi occuperò“. Parola del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che questa mattina ha partecipato al dibattito sul tema organizzato dal Centro Studi Americani. Titolo del seminario: “Going to G7 Energy – Focus on infrastructures and security“, un incontro che prelude al G7 Energia in programma a Roma tra meno di un mese, il 9 e il 10 aprile.

APPUNTAMENTO AL CSA

Nel corso della mattinata – che si è aperta con i saluti del direttore del Csa Paolo Messa – si sono alternati negli interventi, oltre al ministro Calenda, anche il presidente di Rie (Ricerche industriali ed energetiche) ed ex ministro dell’Industria Alberto Clò, il country manager per l’Italia di Tap (Trans Adriatic Pipeline) Michele Mario Elia, il presidente e amministratore delegato di Esso Italiana Giovanni Murano e il capo del programma energetico dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) Massimo Nicolazzi. Il tutto introdotto dal keynote speech pronunciato da Richard L. Morningstar, Founding Director e Chairman del Global Energy Center – Atlantic Council. Il giornalista del Corriere della Sera Maurizio Caprara ha moderato il dibattito.

LA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE

Conto di arrivare all’approvazione della strategia energetica nazionale tra la fine di aprile e l’inizio di giugno“, ha commentato Calenda, che ha poi ricordato l’assoluta importanza di questo settore per il futuro non solo economico del nostro Paese: “E’ il terzo pilastro dopo il piano straordinario sul made in Italy e industria 4.0“. Così importante – ha sottolineato il ministro – da costituire un pezzo fondamentale della politica industriale italiana: “E’ uno snodo della storia in cui non possiamo permetterci di commettere errori“. Come quelli compiuti in passato – ha detto chiaramente Calenda – con gli incentivi previsti a suo tempo per le rinnovabili: “Non è sbagliato investire sulle rinnovabili ma è sbagliato trasformare questo investimento in una pura speculazione finanziaria come è stato per molti anni“. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni di Co2 saranno raggiunti – ha concluso – in particolar modo grazie agli “investimenti in efficienza energetica, che saranno predominanti“.

TRUMP E I CAMBIAMENTI CLIMATICI

Di rapporti tra Europa e Stati Uniti – con un particolare focus sul tema dei cambiamenti climatici – ha parlato Morningstar il quale, al netto degli annunci di Donald Trump, si è detto convinto che gli Usa non denunceranno gli accordi di Parigi di COP 21: “Non sono pessimista. E’ altamente improbabile che una prospettiva del genere si concretizzi anche perché non avrebbero nulla da guadagnarci. Anche su altri fascicoli finirebbe con il crearsi una situazione di tensione con l’Europa di cui non hanno bisogno“. Da qui a dire, però, che li rispetteranno pedissequamente, ce ne corre: “E’ più facile, semmai, che li ignorino almeno in parte“. Quanto alle politiche europee, Morningstar ha sottolineato come gli sforzi principali debbano essere rivolti all’ammodernamento infrastrutturale e alla diversificazione delle fonti d’approvvigionamento energetico.

LE CONSEGUENZE DI PARIGI

Gli Usa rischiano di non essere gli unici ad applicare a spizzichi e bocconi le previsioni di Parigi. Ne è convinto l’economista Alberto Clò che ha denunciato come quelle prescrizioni siano rimaste ancora solo su carta: “Negli ultimi 15 mesi non è stata presa alcuna decisione. Tutti parlano di quegli accordi, ma in realtà c’è solo inerzia“. Una situazione che l’ex ministro dell’Industria ha sintetizzato così: “Parigi: svolta storica o parole al vento?“. Che propenda per la seconda risposta, lo ha fatto chiaramente capire lui stesso: “Basta retorica sul clima: il G7 dica chiaramente cosa gli Stati intendono fare concretamente“. Anche perché, di questo passo, non farà che aumentare “l’incertezza generale e, quindi, anche l’instabilità degli investimenti“.

L’ITALIA E LA RUSSIA

Nel frattempo l’Italia, dal punto di vista dell’approvvigionamento di gas e non solo, deve anche fare i conti con il contesto internazionale in mutamento. Per fare un esempio, la Norvegia è in calo, così come l’Algeria. Per questo – ha osservato Nicolazzi dell’Ispi – “la Russia, sotto il profilo strutturale e della capacità produttiva, è il nostro unico partner stabile“. Una partnership conveniente anche economicamente parlando, a tal punto da spingerci a non utilizzare a pieno le infrastrutture e le tecnologie di cui nel nostro Paese disponiamo: “Perché teniamo i rigassificatori vuoti: per ragioni politiche o perché ci conviene dal punto di vista economico?“.

UN’INFRASTRUTTURA STRATEGICA

Discorso a parte lo merita invece TAP (acronimo di Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto che porterà in Italia – e poi, quindi, anche in Europa – il gas proveniente dall’Azerbaijan. La parte italiana dell’infrastruttura dovrà essere realizzata in Salento ma – tra burocrazia e qualche timore da parte della popolazione – ci sta volendo più tempo del previsto. “Dal Mar Caspio sono stati realizzati 3.500 kilometri di tubo ma adesso per gli ultimi 8 in Italia stiamo avendo qualche problema“, ha commentato il country manager di Tap in Italia Michele Mario Elia. La questione principale – ha evidenziato – è rappresentata dai passaggi amministrativi: “Ben 65 prescrizioni con un impatto sui tempi terrificante“. Quanto alla reazione dei territori interessati, Elia ha osservato il lavoro svolto per tranquillizzare la cittadinanza “attraverso il dialogo continuo” alla quale sono state mostrate “le opportunità” derivanti da Tap.

GLI SCENARI GLOBALI

Nel corso dei prossimi decenni come cambieranno gli scenari globali in tema di energia? La risposta è arrivata da Giovanni Murano, il quale ha sottolineato innanzitutto l’aumento della popolazione mondiale e, di conseguenza, della domanda di energia: “Nel 20140 saremo 9 miliardi con una crescita del fabbisogno energetico complessivo pari al 25%“. La maggior parte del quale – il 70% del totale – sarà assorbito dai Paesi oggi definitivi in via di sviluppo. Il peso dell’Europa, invece, è destinato a diminuire: “Nel 2040 saremo responsabili solo del 7% delle emissioni globali, con una forte diminuzione anche determinata dai processi di efficentamento energetico e dalla diversificazione delle fonti di approvvigionamento“.

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