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La Consip, le gare, i prezzi e la concorrenza

Primo: come mai continuano a evidenziarsi casi di amministrazioni che comprano a prezzi più alti che in Consip? Il sospetto, in assenza di altre evidenze, è che i controlli latitino. Non c’è bisogno di scomodare Mao Zedong, esperto di centralizzazione, per ricordare come bastino pochi esempi di individuazione e sanzione di acquisti impropri affinché tutti si adeguino e passino ad acquisti consoni. Il database a disposizione del ministero (ma anche di Anac a richiesta) fu usato da Oriana Bandiera, Andrea Prat e Tommaso Valletti per uno studio certosino capace di individuare sprechi e alzare bandierine rosse d’allarme: perché non se ne fa ampio uso per indirizzare i controlli?

Secondo: siamo certi che i prezzi spuntati dalla Consip siano i migliori possibili? Con altre direttive da parte del ministero dell’Economia non si potrebbe fare ben di più? Governo e Mef, in effetti, continuano da anni a ostinarsi a utilizzare un modello di aggregazione della domanda che non è sempre coerente con il dettato della legge originaria, tuttora valida, che chiede non di fare gare grandi, ma di “garantire la semplificazione delle procedure di gara, la riduzione dei tempi di approvvigionamento e dei prezzi unitari dei beni e servizi, oltre al miglioramento della qualità degli acquisti della pubblica amministrazione”.

Non è questione di lana caprina: nel quinquennio 2011-2015, si legge nella relazione annuale Anac (Autorità nazionale anticorruzione), il valore medio dei lotti ha avuto un aumento cospicuo dell’importo per i servizi e per le forniture (+85 e +50,5 per cento), tale da far dire a Raffaele Cantone che in Italia “la struttura della domanda non sia particolarmente favorevole alla partecipazione delle piccole e medie imprese al mercato degli appalti pubblici.”

Ciò riduce l’aggressività in gara delle grandi aziende e facilita accordi collusivi. L’enfasi sulle economie di scala con cui viene difesa una simile strategia è spesso senza senso nelle gare dei servizi (guardiania, pulizia), dove non esistono, e va comunque rimessa nel contesto più ampio della minore partecipazione che genera vietando l’accesso alle Pmi. Di strumenti per ridurre la dimensione dei lotti e non rinunciare ai potenziali risparmi da economie di scala ne esistono in abbondanza, senza ricorrere all’aggregazione della domanda e senza rinunciare alla qualità delle competenze che albergano in Consip.

La motivazione che spinge il governo a proseguire con questo impianto organizzativo è evidente: all’Unione europea del Fiscal Compact, tutta focalizzata sui risparmi di spesa senza se e senza ma, l’aggregazione appare un tocca sana e il rapporto Mef-Istat pare confermare la bontà della scelta.

Ma se il paese poi non cresce perché il suo tessuto industriale si sfalda e la qualità delle commesse non è monitorata, è il Pil che crolla, con tanti saluti anche all’andamento degli indicatori di finanza pubblica tanto cari a Bruxelles.

(estratto di un’analisi più ampia pubblicata sul sito Lavoce.info; l’analisi integrale si può leggere qui)


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