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Obiettivi e incognite dell’intesa Europa-Africa sulla Libia

libia, gentiloni

La riunione del Gruppo di contatto Europa-Africa Settentrionale di lunedì 20 marzo è stata il terzo atto in un mese e mezzo nel tentativo di accelerare un’azione coordinata sul fronte dell’immigrazione e dell’emergenza libica: in precedenza c’erano state l’intesa sottoscritta il 2 febbraio dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e dal primo ministro libico, Fayez al Serraj, e la riunione operativa del comitato misto per l’attuazione del Memorandum il 14 marzo. L’accelerazione è evidente, i risultati sono invece appesi alla reale disponibilità dell’Unione europea di andare oltre gli appena 200 milioni stanziati e, soprattutto, alla capacità del governo di Tripoli (l’unico riconosciuto dall’Onu) di mettere in atto una seria azione di contrasto al traffico di migranti una volta ottenuti gli aiuti italiani.

Il sogno è che in Libia si riesca davvero ad allestire una centrale operativa in grado di coordinare le chiamate di soccorso e gli interventi di polizia per arginare i flussi. Oggi gli scafisti sono organizzati in modo da telefonare o far telefonare da un “passeggero” a numeri già memorizzati per chiedere aiuto alla Guardia costiera italiana. In teoria, la segnalazione dovrebbe essere girata allo Stato più vicino ma, trattandosi di uno Stato nelle condizioni della Libia, la “legge del mare” e trattati internazionali obbligano a intervenire chi ha ricevuto la richiesta di aiuto pur se in acque internazionali perché, com’è noto, la missione Eunavfor Med (Operazione Sophia) non è mai passata alla fase 2-B non avendo la Libia mai autorizzato l’ingresso nelle proprie acque. Ecco perché, una volta a regime gli aiuti italiani e dunque una volta allestita una propria sala operativa, i libici sarebbero costretti a intervenire e a fermare i barconi: sarebbe la svolta tanto attesa.

Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha confermato che al massimo entro la metà di maggio saranno consegnate alla Libia le prime motovedette sulle dieci in totale previste dall’accordo, contestualmente alla fine dell’addestramento di una novantina di marinai della Guardia costiera libica. Ciò dovrà andare di pari passo con la soluzione a uno dei problemi storici dell’immigrazione in Libia e cioè i campi di accoglienza che, ha detto Minniti, dovranno essere gestiti con le organizzazioni umanitarie “nel pieno rispetto dei diritti umani”. I dettagli operativi erano stati spiegati il 13 marzo in un’intervista al Qn dall’ammiraglio Enrico Credendino, comandante di Eunavfor Med: 93 militari libici hanno completato 14 settimane di addestramento a bordo di una nave olandese e di nave San Giorgio; a tre equipaggi manca solo un ultimo mese di formazione sulle motovedette che l’Italia donerà, mentre altri cinque equipaggi stanno ultimando il corso nelle basi della Marina militare di Taranto e della Maddalena dove, disse Credendino, gli allievi libici sono complessivamente 255 comprendendo anche altre funzioni.  Su ogni motovedetta ci sarà un equipaggio di 13 marinai.

I ministri dell’Interno di Italia, Germania, Francia, Austria, Malta, Slovenia, Svizzera, Libia e Tunisia che fanno parte del Gruppo di contatto hanno condiviso l’impegno a “intensificare il coordinamento costante, la cooperazione e lo scambio di expertise e informazioni nella gestione dei flussi migratori” e a investire nei paesi di origine e di transito dei flussi. Un impegno economico enorme e dai tempi lunghi, anche se in prospettiva sembra l’unica soluzione. Nonostante l’incertezza delle ore precedenti, vista la caotica situazione libica e i crescenti scontri tra milizie, la presenza di al Serraj è stata considerata un segnale importante sia da Minniti che da Gentiloni che l’ha incontrato. Al di là delle frasi diplomatiche, il succo del minivertice sta nell’invito al maggior dialogo possibile tra le varie parti in  causa: “Sappiamo bene, e lo sa per primo al Serraj, quanto condivisione diplomatica e base giuridica abbiano bisogno di essere rafforzate in termini di basi di consenso e contrasto a ulteriori rischi di divisione” ha detto il presidente del Consiglio con riferimento innanzitutto al generale Khalifa Haftar, uomo forte di Tobruk. Ma l’altro elemento fondamentale, e di divisione, è quello economico e cioè petrolifero, al centro di battaglie nelle scorse settimane: l’auspicio del governo italiano, forte anche di due risoluzioni dell’Onu, è che la compagnia petrolifera di Stato (National Oil Company) e la Banca centrale libica restino unite come base della stabilizzazione.

Il commissario europeo all’immigrazione, Dimitris Avramopulos, ha detto ciò che non poteva non dire: “L’Italia non è sola” (anche se l’impressione è diversa) ricordando poi che sono stati stanziati 200 milioni per la stabilizzazione dell’area del Mediterraneo, di cui 90 per la Libia oltre ai 12,2 milioni destinati alla Guardia costiera libica. Bruscolini. Il 25 marzo in una Roma blindata saranno celebrati i 60 anni dei trattati costitutivi dell’Unione europea, che all’epoca era la Comunità economica europea, e Gentiloni ripeterà quello che ha detto al Gruppo di contatto: “Bisogna mettere sotto controllo i flussi migratori, non abbiamo molto tempo”.



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