Poco più di un anno fa, in occasione delle elezioni regionali in Francia, il risultato del ballottaggio rovesciò completamente il verdetto del primo turno, nel quale Marine Le Pen aveva vinto ovunque.
La scorsa settimana, in Olanda, le previsioni della vigilia, che attribuivano un successo importante alla destra xenofoba di Wilders, sono state completamente sovvertite da un voto che ha sostanzialmente confermato la vocazione democratica ed europeista dei Paesi Bassi.
Vi è un fattore comune, sottovalutato o neppure considerato dalla gran parte degli osservatori, che lega i due eventi: l’affluenza al voto.
In Francia, contrariamente alle normali tendenze, nel secondo turno si presentarono alle urne 5 milioni di francesi in più rispetto al primo; in Olanda, l’affluenza è stata dell’82%, un valore altissimo e ormai inusuale nelle elezioni politiche in tutta Europa.
La lettura di questo dato costituisce, a mio modo di vedere, la chiave di volta per comprendere quanto sta accadendo.
Nel momento della massima difficoltà, i moderati che ancora credono nella forza della democrazia e nel valore dell’Europa, si mobilitano per evitare che il proprio Paese finisca nelle mani di chi predica derive xenofobe, demagogiche, populiste.
Se in Olanda avesse votato il 60% degli elettori (percentuale ormai abituale in Europa), certamente Wilders avrebbe vinto. Allora la domanda da porsi è: come mai è stato necessario arrivare vicini al punto di non ritorno perché gli olandesi decidessero di andare a votare?
Credo che la risposta non sia difficile, e che sia comune a buona parte delle democrazie europee. Oggi i moderati non si sentono più rappresentati. Non trovano infatti un’offerta politica che sia per loro attraente tanto quanto è la proposta dei cosiddetti populisti per coloro i quali sono abituati a urlare e a protestare contro tutto e contro tutti.
Si assiste, in altri termini, a un fenomeno opposto a quello che accadeva alcuni anni fa, quando erano gli insoddisfatti che, per protesta, non votavano. Oggi, gli arrabbiati si sentono rappresentati dai demagoghi di destra e di sinistra e li votano, mentre i moderati si sentono traditi dalla politica e si rifugiano quindi nell’astensionismo, mobilitandosi solo di fronte al rischio del peggio, o si sentono persino attratti da quegli stessi estremismi che, pur contrastando con la propria natura, appaiono come l’unica proposta credibile.
La politica deve rendersi conto di avere un grande compito, quello di non permettere che si arrivi vicini all’orlo del baratro perché la gente compia un estremo gesto di responsabilità. Non deve più accadere che la gente esca di casa per evitare la vittoria del peggiore, ma che vada convintamente al seggio per votare il migliore.
Per arrivare a questo c’è un grande lavoro da fare per chi ancora crede nei nostri sistemi democratici, nell’Europa e nei suoi valori fondanti: ridare credibilità alla politica e, soprattutto, offrire una proposta politica vera al grande popolo dei moderati oggi delusi e a coloro i quali cadono nella trappola dei populisti.
È una impresa che appare improba, una montagna impervia da scalare. E in Italia, purtroppo, non sembra certo che stiano andando in questa direzione le maggiori forze che rappresentano la nostra tradizione politica. Né il Partito democratico, che fa di tutto per disamorare ulteriormente gli elettori e portare nuova acqua al mulino di Grillo con continui, estenuanti e incomprensibili litigi interni. Né Forza Italia, che non ha l’orgoglio di abbandonare la destra lepenista di Salvini e della Meloni per tornare a ricollocarsi nel proprio alveo naturale, quello del popolarismo europeo, continuando così a deludere chi ricorda la stagione del Berlusconi innovatore e riformatore.
Il tentativo che nasce dalla trasformazione di Ncd in Alternativa Popolare parte esattamente da questa convinzione profonda: offrire al popolo una reale alternativa, perché, come dimostrano Francia e Olanda, solo il popolo può sconfiggere i populismi.