Una decina di giorni fa, l’Adam Smith Institute ha diffuso una cupa analisi sul sistema universitario inglese, che provo a riassumere nei suoi punti essenziali:
– i docenti culturalmente e politicamente di centrodestra, conservatori, liberalconservatori, moderati, non di sinistra, non arrivano oltre il 10-11% del totale degli accademici;
– circa il 90% degli istituti considerati nella ricerca ha in qualche forma applicato restrizioni rispetto al “free speech”, specie per prevenire o impedire critiche rispetto all’islamismo;
– nei libri di testo economici, i casi di (vero o presunto) fallimento del mercato sono citati sei volte più frequentemente dei casi di fallimento dello stato.
Sul Times, l’ex ministro Gove ha reso la fotografia ancora più orwelliana, parlando della figura (presente a Oxford, ad esempio) del “diversity officer”, cioè di un funzionario appositamente addetto a verificare se (nell’insegnamento formale, cioè nelle lezioni, o anche nelle conversazioni informali!) siano usate espressioni che qualcuno possa percepire come offensive (per motivi razziali, sessuali, di genere, ecc). Nel caso, il responsabile viene convocato e ammonito, affinché l’episodio non si ripeta: altrimenti scattano le misure disciplinari.
Dinanzi a questo sconfortante scenario, restano tre considerazioni.
La prima. Il “politicamente corretto” è l’antitesi stessa di una ricerca intellettuale libera. Preclude a intere generazioni la sfida di pensare e dire cose audaci. Che cos’è la liberta di pensiero e di espressione, se viene ostacolata da un invisibile freno a mano tirato? Nel mercato delle idee, è bene che anche tesi forti, chioccianti, estreme, possano circolare.
La seconda. Com’è possibile che, nel nostro Occidente, le famiglie facciano tutto il possibile – nella vita privata – per garantire ai figli le migliori opportunità, salvo poi – nella vita pubblica – avallare scelte (scolastiche, universitarie, ma anche previdenziali!) destinate a uccidere il futuro dei ragazzi?
La terza. Se perfino la Gran Bretagna è in queste condizioni, chi avrà il coraggio di fare una ricerca simile in Italia? Di “contare” i docenti liberali, non comunisti, non statalisti, non anti-mercato, non anti-occidentali? Da ragazzino scapestrato (o forse saggiamente scapestrato…), anni fa, mi divertivo in qualche nottata radiofonica a leggere estratti (in genere dai manuali di storia del Novecento) dei libri scolastici di testo circolanti nei licei italiani. L’effetto era altamente esilarante per i primi minuti. Poi subentrava una cupa consapevolezza. Da allora, la notte è ancora più buia.