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Perché non è chiara la strategia dietro l’attacco di Trump in Siria. Parla il generale Camporini

“L’attacco americano contro la base aerea del regime siriano mi sembra un fatto simbolico, del quale francamente fatico a comprendere strategia e valore politico”, commenta con Formiche.net il generale italiano Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore della Difesa, ora membro del membro del Senior Expert Group (SEG) della Nato.

AZIONI MILITARI E MIRE POLITICHE

“È mia assoluta convinzione che le forze armate siano uno degli strumenti di politica estera di un Paese, ma questo significa che il loro impiega trova giustificazione solo al servizio di uno scopo politico da conseguire”. E punire Bashar el Assad per l‘atroce attacco chimico di martedì non può essere considerato uno scopo politico? “No, la punizione è un fatto etico. Usare le forze armate per una cosa del genere è improprio”. “Oltretutto – aggiunge il generale – non ci sono state inchieste che hanno chiarito definitivamente le responsabilità di Assad: voglio dire, in questo momento io non sono in possesso di informazioni approfondite, e credo che se gli Stati Uniti hanno raccolto anche il consenso di vari Paesi alleati dopo la loro azione, significa che hanno (e siamo anche noi Italia) in mano dati affidabili che non sono di pubblico dominio per incolpare il regime, ma l’azione immediata e unilaterale è comunque rischiosa”.

LE VERE PRIORITA’ DI TRUMP

Ecco, gli alleati, appunto: difficile trovare un Paese, dagli europei agli storici partner americani in Medio Oriente (Turchia, Israele, Arabia Saudita) che non abbia speso parole positive sul raid ordinato da Trump. “Sì, in effetti – risponde Camporini – è sorprendente come alcune nazioni che nei giorni precedenti erano state critiche nei confronti dell’amministrazione americana abbiano subito in qualche modo appoggiato la sua azione di venerdì”. Sembrerebbe quasi che molti degli alleati statunitensi abbiano rivisto nel raid di Trump l’impegno globale americano, e per questo hanno preso posizioni favorevoli: che ne pensa? “Ma, dubito che gli Stati Uniti, nonostante quella salva di Tomahawk ritornino ad occuparsi in modo massiccio di questioni che non li riguardino direttamente. Per me adesso Trump ha in mente due problemi: il primo è la Corea del Nord, che rappresenta una minaccia nucleare in mano a un regime pericoloso; l’altro è la crisi nel Mar Cinese, che mette in difficoltà diversi alleati contro un nemico sistemico e che destabilizza un’area fondamentale”.

I RAPPORTI USA CON RUSSIA E IRAN

A proposito di nemici, l’attacco in Siria ha scatenato le reazioni dure di Russia e Iran. “Il futuro dei rapporti con Russia e Iran è un aspetto serissimo che Trump dovrà affrontare. Con Mosca s’è riaperta una fase delicatissima. Si diceva che ci sarebbe stato un nuovo trend, un’apertura dei rapporti, che la nuova Casa Bianca avrebbe portato distensione, ma a quanto pare la direzione è opposta”. E L’Iran? “La situazione a Teheran è ancora più delicata, perché a breve andrà sotto elezioni, e questo genere di comportamenti americani può essere miele per le narrazioni delle posizioni più radicali e conservatrici, che facilmente possono descrive le azioni di Washington come le mosse del Grande Satana”.

OBIETTIVI ESTERNI E FINI INTERNI

“Temo inoltre – conclude Camporini – che dietro all’attacco possa esserci anche la volontà di Trump di ricostruire il consenso interno, che a quanto mi risulta è piuttosto basso al momento, mostrandosi ai suoi elettori come un uomo forte e decisionista e agli altri come un giusto che punisce un cattivo. Un modo, forse, per apparire anche particolarmente diverso dal suo predecessore Barack Obama“.



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