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La Corea del Nord, gli Usa e la giusta fermezza contro Pyongyang

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Dopo che si è aperta con il bombardamento della scorsa settimana, la dura e probabilmente lunga agonia siriana, adesso è la volta della Corea del Nord. Da anni il governo di Pyongyang sta portando avanti una bellicosa e spaventosa corsa agli armamenti, giustificata con un insano cocktail di nazionalismo asiatico ed espansionismo populistico. Adesso, però, i tempi sembrano cambiati, e comunque ad essere mutata, insieme alla sua amministrazione, è chiaramente la linea politica americana.

Gli Stati Uniti, infatti, hanno inviato, a scopo per ora di deterrenza, una portaerei nelle acque della penisola coreana, e ovviamente la reazione di condanna del governo non si è fatta attendere. La mossa di Washington, definita dalla Nord Corea “sconsiderata”, rientra d’altronde nella intenzione generale detta con chiarezza e fermezza da Donald Trump di voler riportare sotto il controllo della legge tutti gli “Stati cattivi” che rappresentano una reale e potenziale minaccia per la sicurezza nazionale. E sebbene per Pyongyang l’invio della portaerei Usa è la dimostrazione che la strategia americana per “invadere” la Nord Corea “abbia raggiunto una fase pericolosa”, come avrebbe spiegato all’agenzia statale Kcna un portavoce del ministero degli Esteri nordcoreano, il presidente americano ha ribadito di non avere alcuna intenzione di farsi intimidire e di retrocedere di un passo in questa direzione.

Non si può nascondere che il potenziale di pericolo adesso è molto alto. E non si può nemmeno fare finta di essere davanti a un Paese che non abbia obiettivi minacciosi e arsenali nucleari. Tuttavia sembra che sia proprio questo presupposto a spingere Trump ad agire repentinamente e in modo tanto risoluto per neutralizzare un’incognita che altrimenti rimarrebbe sempre latente e probabilmente destinata nel tempo ad accrescere la propria violenta volontà espansionistica.

Pertanto, in fin dei conti, non si può giudicare sfavorevolmente questa azione politica e militare che gli States stanno portando avanti. Anzi è opportuno non farlo. Negli ultimi quindici anni il mondo ha sperimentato l’assenza degli Usa dal controllo internazionale e il risultato è stato ovunque una crescita di conflitti e una retrocessione della pace e della sicurezza. In tal senso, il tycon attua non soltanto con velocità impressionante il programma elettorale ma gioca le sue carte con grande dinamismo e intraprendenza, finendo per spiazzare anche gli alleati europei di comodo che avevano visto in lui un seguace di Vladimir Putin con gli Stati Uniti condannati ad essere un satellite della politica egemonica ed imperialistica sovietica.

Certamente Trump non ha paura di affrontare le cause giuste di buona parte dei problemi che da lontano giungono in Occidente, particolarmente in Europa, sotto forma di flussi migratori e attentati terroristici. E malgrado inquieti un po’ l’ardire apparentemente spregiudicato con cui egli si smarca nello scacchiere internazionale, a fare da garanzia vi sono gli ideali di civiltà e libertà di cui gli Stati Uniti sono portatori da sempre e la squadra assai competente che affianca il presidente nelle sue scelte.

Per noi, d’altronde, la Russia, al netto della simpatia che si può avere o non avere per Putin, non potrà mai essere una vera garanzia e men che meno un alleato minimamente paragonabile agli Stati Uniti.

Il mondo, dopo l’intervento siriano e dopo questo pressing coreano, non potrà improvvisamente diventare più sicuro, ma, se è per questo, non lo era per niente neanche prima. Semmai adesso noi europei siamo meno soli, meno abbandonati e meno vulnerabili.

I Paesi dell’Unione, fortificati dalla storica alleanza atlantica, dovrebbero perciò sentirsi più protetti e garantiti da una presidenza filo occidentale così determinata e forte, specialmente nel non tollerare violazioni di diritti umani tanto gravi, perpetrati, in aggiunta, su bambini innocenti; e dovrebbero sentirsi sollevati nel sapere che da Washington non verranno lasciate indenni illegittime corse solitarie agli armamenti messe in atto da dittatori folli e antidemocratici. Anzi, sarebbe sicuramente intelligente cercare di imitare la risolutezza di Trump perlomeno nel dare corpo, in vista dei tanti appuntamenti elettorali che si apprestano, ad una discussione seria sul ruolo che vuole avere l’Europa nel difendere con più orgoglio la pace, la democrazia e la civiltà del diritto: ovviamente stando indiscutibilmente accanto a Trump, agli Stati Uniti, ad Israele e ai Paesi arabo-moderati.


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