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L’ultimo amore di Cioran al culmine della disperazione

Emil Cioran & Simone Boué

Stupefacente Cioran. Credevamo di sapere tutto (o quasi) di lui, dopo aver scandagliato gli abissi della sua anima e del suo pensiero, quando viene fuori il cercatore d’amore che non ti aspetti, per di più in tarda età. La sua storia – tutta “platonica”, sia chiaro, e con grande disappunto e perfino dolore dell’interessato – è di quelle che lasciano senza fiato e che si vorrebbero veder concluse con l’appagamento desiderato dal vecchio innamorato che in una giovane intellettuale tedesca ha trovato l’ultimo approdo.

Nasce nel 1981 quel sentimento difficile da definire se non d’amore (ma è più che amore, come si capirà) di Emil Cioran – già “monumento” d’intelligenza e di filosofia e di poesia e di disincanto, ma non ancora “mito” come sarebbe stato percepito dopo la sua morte  nel 1995 – per la studiosa Friedgard Thoma alla quale si lega giorno dopo giorno con lettere criptiche ed appassionate, furenti e dolcissime, colte e apprensive e con telefonate tra Parigi e Colonia, e viceversa, che testimoniano di un amore “impossibile” eppure desiderato e a loro modo vissuto da entrambi.

Non quell’amore “fisico” da Friedgard rifiutato se non altro per l’enorme divario anagrafico, ma spirituale senz’altro che fino alla fine della vita consapevole di Cioran ha riempito la vita di entrambi. Poi, nel 1993, l’aggressione dell’Alzheimer che ridusse poco alla volta lo scrittore ad un “sopravvissuto”, se non allontanò i teneri e casti amanti, certamente mutò il rapporto mettendo fine ad una storia davvero straordinaria che la Thoma avrebbe raccontato nel 2001 pubblicando il libro di una passione intellettuale che Cioran visse comunque anziché all’insegna di un erotismo inespresso. Oggi possiamo leggerlo in italiano questo testo-epistolario che arricchisce la conoscenza del pensatore e ci mette in contatto con una intellettuale tedesca, non più giovane come al tempo della relazione con Cioran, la quale con delicatezza e struggente partecipazione contribuisce a raccontarci un uomo complesso la cui disperazione per oltre dieci anni venne sublimata dall’attaccamento ad un donna che non poteva essere a suo modo eccezionale.

Per nulla al mondo. Un amore di Cioran (La Scuola di Pitagora editrice, pp. 140, £ 15,00), è il diario, se così si può dire, che Friedgard Thoma, dopo aver elaborato il lutto, mette insieme per documentare l’intimo incontro di due persone che danno l’impressione di essersi cercate da sempre e trovate quando il loro rapporto non poteva che essere quello che è stato, con disappunto di entrambi presumiamo, ma soprattutto di Cioran che  davanti ad una ragazza intellettualmente dotata e di bellezza non trascurabile, si lascia travolgere al punto di scriverle: “Lei è diventata il centro della mia vita, la dea di uno che non crede in nulla, la più grande felicità e sventura che mi sia capitata”.

In queste poche parole è condensato un grande amore quale mai, probabilmente, lo stesso Cioran a settant’anni avrebbe mai immaginato di vivere. Ed invece lo visse. Intensamente. E da vicino. Non soltanto cioè attraverso lettere e telefonate, ma con viaggi e visite, insieme ad amici e con la complice serenità di sua moglie, Simone Boué, compagna di una vita (oltre cinquant’anni insieme) che diventò perfino amica della Thoma ravvisando in puro e “platonico” appunto innamoramento l’ultimo innocente fuoco di un uomo che pure non era stato insensibile al fascino femminile. Furono insieme in Bretagna a Dieppe e a Sils-Maria, sulle orme di Nietzsche; s’incontrarono in Germania, in Svizzera e naturalmente a Parigi; passeggiarono negli amati (da Cioran) giardini del Luxemburg e condivisero cene e bevute e discussioni nel piccolo appartamento di rue de l’Odeon, il “centro del mondo” cioraniano. Soprattutto condivisero pensieri che trascendevano il lavoro intellettuale per incarnarsi nel più elementare dei sentimenti, l’amore appunto, del quale Cioran, in una delle sue più intense raccolte di aforismi, Al culmine della disperazione, scrisse: “La sola cosa che possa salvare l’uomo è l’amore. E se molti hanno finito per trasformare in banalità questa asserzione, è perché non hanno mai amato veramente”.

Il libro della Thoma è una testimonianza irrinunciabile non soltanto della grandezza, nota ed accettata ormai, dell’intellettuale franco-rumeno, ma soprattutto della profondità del suo animo e della levigata umanità che gli ispirava nella disperazione continui “esercizi di ammirazione” (non soltanto quelli splendidi raccolti in un volume tra i suoi migliori) per ciò che vedeva compiersi intorno a sé e dentro di sé. Testimonianza che collima con ciò che è scritto nei Quaderni (Adelphi), messi in ordine dalla moglie Simone la quale non li vide pubblicati: se la portò via l’Atlantico, durante una nuotata, nell’estate del 1997.

Massimo Carloni, curatore dell’edizione italiana di questo libro, ed uno dei massimi conoscitori di Cioran (ha curato tra l’altro Il suicidio dell’Occidente, edito da Bietti), nella postfazione ha scritto: “Lungi dal vedere in questa storia , secondo un collaudato cliché, l’ennesimo scacco della filosofia di fronte alla prova del sesso, vi si ritrova semmai una conferma dell’idea che da tempo Cioran si era fatto si se stesso. Non era stato forse lui trent’anni prima, ad aver scritto con sorprendente premonizione: ‘Quanto più un uomo di spirito è stanco e disilluso tanto più rischia, se l’amore lo sorprende, di reagire come una sartina’. Insomma, in luogo di distruggere l’immagine che ci eravamo fatta di Cioran, questa infatuazione senile contribuisce semmai a rendercelo più prossimo e, se possibile, ancora più amabile”.

È la dignità e la magia dell’amore, al fondo di questa storia, che Cioran, il più scettico dei filosofi contemporanei, anche al prezzo di smentire se stesso, ci rivela. Con quanto dolore possiamo intuirlo. Con quanta passione è fin troppo evidente. E per sua fortuna ha trovato una donna, giovane e seducente al tempo del primo incontro, che ha saputo rinnovare e scuotere le fibre di un un uomo che ha navigato i mari della disperazione uscendone indenne, grazie anche all’amore.

In foto Emil Cioran & Simone Boué

(c) Dinica peromaneste (Flickr)

 

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