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Che cosa si agita sui migranti fra sbarchi record, baruffe politiche e spese crescenti

Nel pieno della primavera il bubbone è scoppiato: quasi 8.500 migranti (e 13 morti) in tre giorni tra il Venerdì Santo e la domenica di Pasqua non sono un flusso, sono uno tsunami. Il ministero dell’Interno ha registrato 2 mila salvataggi il 14, 4.500 il 15 e altri 2 mila il giorno di Pasqua, con arrivi che proseguiranno fino al 18 aprile: a Catania 1.181, a Pozzallo (Ragusa) 526, a Porto Empedocle (Agrigento) 451, a Messina 1.267, a Cagliari 850 e così via. Un’emergenza come raramente è capitata in poche ore che dovrebbe far pensare anche allo sforzo enorme di militari, forze dell’ordine, Protezione civile, Croce rossa, volontari di ogni genere, ospedali e strutture varie. E poi?

L’opposizione di centrodestra va all’attacco e il capogruppo di FI a Palazzo Madama, Paolo Romani, ha sollecitato una rapida conclusione dell’indagine conoscitiva avviata dalla commissione Difesa del Senato che mercoledì 19 proseguirà le audizioni prima con il generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto operazioni della Guardia di finanza, e poi con tre organizzazioni non governative: Sos Méditerranée, Life Boat e Save the Children, allo scopo di chiarire il ruolo opaco di alcune Ong accusate anche dall’agenzia europea Frontex di incentivare in qualche modo il traffico di migranti caricandoli a bordo troppo vicino alle acque libiche, se non all’interno. Il leader leghista, Matteo Salvini, invece ha annunciato che un gruppo di legali sta preparando una denuncia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a carico del governo e dei vertici della Marina militare e della Guardia costiera, “non certo dei militari che obbediscono agli ordini”. Come se i vertici di Marina e Capitaneria di porto decidessero in autonomia.

Non sono segnali nuovi e non sorprendono, dimostrando una diversa idea di come si debba affrontare il fenomeno con un occhio alle imminenti elezioni amministrative. Tutti sanno che quest’anno rischia di segnare il record assoluto di arrivi e da varie amministrazioni locali si chiede al governo almeno di attuare rapidamente quanto previsto dall’ultimo decreto immigrazione: il leghista Roberto Maroni, presidente della Lombardia, ha sollecitato pochi giorni fa il ministro Marco Minniti (nella foto) a definire l’identificazione dei Cie (che ora si chiamano Cpr, centri permanenti per il rimpatrio) anche perché la Lombardia è la regione che ospita il maggior numero di migranti, pari al 14 per cento. Certo non è da sottovalutare la preoccupazione di Antonio Satta, segretario dell’Unione Popolare Cristiana (Upc) e membro del direttivo dell’Anci, l’associazione dei comuni: “Molti sindaci sono sempre per l’accoglienza, ma se si continua con questo ritmo si rischiano pesanti tensioni sui territori”. Purtroppo, se molti sindaci sono d’accordo nell’accoglienza, altrettanti non lo sono e questo manda in tilt l’intero sistema.

Un’emergenza che ha anche un costo altissimo per il bilancio dello Stato: il Def appena approvato prevede che nel 2017 la spesa potrebbe toccare i 4,6 miliardi di euro, pari allo 0,27 per cento del Pil. Una cifra enorme considerando le difficoltà per rientrare nei parametri europei. L’anno scorso furono 3,6 miliardi e quest’anno sono già certi 4,2 miliardi, ma visto che i flussi stanno aumentando la cifra finale potrebbe arrivare appunto a 4,6. La vera difficoltà nell’immediato rischia di essere la gestione ordinaria: lenta redistribuzione, arrivi in massa appena il mare si calma, possibili speculazioni politiche con l’avvicinarsi delle elezioni amministrative di giugno potrebbero causare anche qualche problema di ordine pubblico.

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