La legge elettorale con la quale si andrà al voto alle prossime politiche quasi certamente sarà di natura proporzionale. Tale possibilità consentirà a diversi partiti di recuperare elettoralmente la propria autonomia e affermare la propria identità, evitando di intrupparsi in listoni a destra, a sinistra e al centro. A questo punto torna attuale l’ipotesi della costruzione in Italia di un partito popolare, d’ispirazione cristiana che dovrebbe accogliere i cattolici, ormai dispersi in tante realtà tra cui l’astensione, forse la più consistente, e i moderati, per poi confluire nel Partito popolare europeo.
Le considerazioni da fare sono due, in relazione a tale eventualità. La prima: è auspicabile che ci sia un partito politico di cultura popolare che guardi agli interessi del ceto medio produttivo e dei deboli, e che sappia essere forza di mediazione e di sintesi nel panorama politico nazionale. I cattolici durante il ventesimo secolo sono stati costantemente protagonisti della vita politica italiana, aiutando a far nascere e crescere la democrazia. La loro assenza dal 1993 ad oggi è stata avvertita in modo incontrovertibile. Seconda riflessione: un partito popolare o è di ispirazione cristiana e democratico o non è, per cui pensare di entrare a far parte del Partito polare europeo è un errore da evitare. Un film già visto, che ha portato in passato i partiti conservatori dei vari stati europei a far numero nel Ppe, costringendo i parlamentari democristiani a sentirsi estranei in casa, fino a costituire il gruppo di Atene.
La rivoluzione in Francia sconvolse l’ordine istituzionale nei Paesi europei. Il Vecchio continente dovette adoperarsi per trasformare l’organizzazione degli Stati e con essa gli istituti statali. Ci si impegnò per disegnare il nuovo assetto istituzionale, politico, sociale. Il problema di importanza fondamentale fu discusso e approfondito in campo cattolico. Federico Ozanam, fondatore della San Vincenzo de Paoli, fu tra i primi a capire che cattolicesimo e democrazia dovevano incontrarsi. Egli intuì che un’idea di democrazia cristiana, contraddistinta da una visione economica e sociale a favore dei ceti meno fortunati fosse necessaria.
Un vento nuovo iniziò a spirare con l’arrivo di Pio IX (1846) sulla cattedra di Pietro tanto da convincere molti cattolici ad abbracciare le idee democratiche. Da allora in avanti e sino ad oggi questo ideale si persegue, ed è tuttora valido nel concreto, superando ostacoli di natura teorica e pratica. Alla fine del XIX secolo l’attivismo sociale e politico in campo cattolico è ormai una realtà viva.
Gli stessi Luigi Sturzo e Romolo Murri si interrogavano su forma e sostanza da assegnare a un soggetto politico che consentisse ai cattolici di partecipare alla vita pubblica, una volta superato il non expedit (veto ai cattolici da parte della Santa Sede, dopo la breccia di Porta Pia, di partecipare alle elezioni). La pubblicazione della Rerum Novarum, enciclica a carattere sociale sottoscritta dal Leone XIII nel 1891, agevolò l’avanzare del progetto.
Una prima riflessione Sturzo la svolse a Caltagirone nel dicembre 1905 dove tracciò le linee fondamentali di un possibile futuro partito politico. Il cammino intrapreso con ansia e speranza proseguì fino alle elezioni del 1913, quando cattolici e liberali dettero vita al patto Gentiloni, un patto che obbligava, per ottenere i voti cattolici, i candidati giolittiani a sottoscrivere alcuni punti fondamentali secondo gli insegnamenti della dottrina della Chiesa. È l’inizio dell’attenuazione del non expedit, che sarà definitivamente abolito con le elezioni del 1919.
Lo scoppio della Prima guerra mondiale frenò il cammino del progetto sturziano, ma alla fine del conflitto lo Stato liberale di stampo giolittiano entrò in profonda crisi, rendendo più agevole l’ingresso nelle istituzioni dei partiti di massa, segnatamente il Partito popolare e il Partito socialista. Il 18 gennaio 1919 don Luigi Sturzo e la piccola costituente popolare annunciavano la nascita del Ppi (Partito popolare italiano).
“Il popolarismo fu il punto culminante della contrastata e spesso contraddittoria vicenda dei cattolici italiani, usciti dal clima e dal linguaggio della protesta cattolica intransigente, rimasta sempre chiusa nel rifiuto dei fatti compiuti e pervasa fino alla fine da suggestioni tradizionaliste bonaldiane”.
Il programma, originale e innovativo per l’epoca, incontrò consensi e critiche, anche aspre, da parte di chi temeva il successo di un partito che parlava il chiaro linguaggio della democrazia e della libertà, e che era il soggetto politico di riferimento per cattolici e non cattolici, spinti ad assumere ruoli di responsabilità pubbliche, che il sistema giolittiano aveva tenuto ai margini della vita politica.
Alcuni punti caratterizzanti il programma del Ppi erano incentrati su: integrità della famiglia, libertà di insegnamento, legislazione sociale sul pieno diritto al lavoro, risoluzione nazionale del problema del Mezzogiorno, autonomia degli enti pubblici locali, riforma tributaria sulla base dell’imposta progressiva globale con esenzione delle quote minime, riforma elettorale con il collegio plurinominale a larga base con rappresentanza proporzionale, senato elettivo.
Questo in sintesi il pensiero popolare ideato, elaborato, seguito tenacemente da Sturzo, e che ha segnato per più di un secolo la politica italiana, prima con il Ppi, poi con la Dc. Chi vuole può attingere oggi da quelle carte utili indicazioni, per una nuova esperienza politica popolare, non confondendo il Partito popolare europeo, pur considerandolo amico, con il popolarismo.