È accaduto già più volte: per evitare un referendum che avrebbe tagliato un nodo politico complesso in modo rozzo, con un colpo d’accetta, governo e Parlamento si sono attivati per trovare una soluzione che non buttasse via il bambino con l’acqua sporca. Per citare solo i due precedenti che riguardano la materia del lavoro, questo è accaduto nel 1982 con la riforma del trattamento di fine rapporto e nel 1990 con la legge sui licenziamenti nelle piccole imprese.
Ora accade di nuovo per la disciplina del lavoro occasionale; anche oggi, come allora, governo e Parlamento sostituiscono alla vecchia disciplina una nuova che muta incisivamente nella direzione voluta dai promotori del referendum. Prima i buoni-lavoro erano utilizzabili da parte di qualsiasi soggetto e, di fatto, i cinque sesti dei buoni venivano usati da imprese di dimensioni medio-grandi; ora la soluzione prospettata esclude tutte le imprese con più di cinque dipendenti.
Prima era di fatto possibile l’abuso dei buoni per pagare gli straordinari ai dipendenti regolari o allungarne l’orario effettivo; ora si prospetta un meccanismo che lo rende di fatto impossibile. Il tetto massimo di utilizzabilità viene abbassato da 7mila a 5mila euro l’anno, e a 2500 per singolo lavoratore ingaggiato. Al fine di garantirne la piena tracciabilità, ogni pagamento ora deve avvenire per via telematica, a costo di dotare il lavoratore ingaggiato di una carta pre-pagata.
Questa essendo la nuova disciplina proposta, ci si sarebbe potuto attendere che a protestare fossero le associazioni imprenditoriali, cui di fatto viene vietato l’ingaggio occasionale; e che invece la Cgil vantasse il risultato ottenuto, sostanzialmente conforme agli obiettivi perseguiti col referendum. Invece no: la Cgil vuole che il lavoro occasionale sia vietato anche alle famiglie e alle imprese di dimensioni minime. Il motivo? “Questa semplificazione toglie ai lavoratori dignità e diritti”.
Meglio disoccupati, o al nero.