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Cosa c’è (e cosa non c’è) nell’accordo commerciale tra Cina e Stati Uniti

Giovedì l’amministrazione Trump ha diffuso un comunicato contenente dieci punti di intesa decisi insieme ai funzionari cinesi. Gli argomenti sono tutti di natura economico-commerciale, e sono la base su cui gli emissari di Washington e Pechino hanno finora lavorato. A diffonderli ai giornalisti è stato il segretario al Commercio Wilbur Ross, che ha seguito i lavori congiunti personalmente, anche perché finora Robert Lighthizer – il realista trade negoziator nominato a gennaio da Donald Trump – non era stato confermato nel ruolo dal Senato. La conferma è arrivata anche quella giovedì e finalmente colui che deve occuparsi dei negoziati commerciali per la Casa Bianca potrà mettersi al lavoro; durante le audizioni Lighthizer ha già detto che la Cina rappresenta uno dei principali problemi commerciali per gli Stati Uniti e che il WTO non è in grado di gestirla.

IN SINTESI

La spiegazione rapida del significato dell’intesa raggiunta la dà il Wall Street Journal: “Dopo mesi ad attaccare la Cina per le sue pratiche commerciali, l’amministrazione Trump ha dichiarato di aver concordato con Pechino su un’ampia gamma di misure volte a migliorare l’accesso alla seconda economia globale ai produttori di carni bovine americane, i fornitori di pagamenti elettronici e agli esportatori di gas naturale”. Commento di Ross: “Le relazioni tra Cina e Stati Uniti hanno raggiunto adesso un nuovo picco, specialmente nel commercio” (definizione dell’accordo: “Una fatica erculea”).

I PUNTI

Perché Ross dice questo? Perché l’accordo tocca vari punti, anche importanti. Due aspetti prettamente commerciali: la Cina aprirà all’importazione di carne americana (se ne parlerà più avanti) e inoltre i cinesi potranno iniziare l’importazione di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti (rischi? Aumento dei prezzi dell’energia in America. Bilanciamento? Il fossile, forse). Poi questioni finanziarie: la Cina consentirà il credit rating alle aziende straniere e emetterà bond con due istituti americani; inoltre aprirà il mercato all’emissione di carte di credito di ditte statunitensi; in più le regole bancarie americane saranno applicate per valutare le istituzioni cinesi.

I DUBBI

Non è chiaro quanto queste misure possano limare l’enorme deficit commerciale (347 miliardi di dollari) che c’è tra i due Paesi – in questo, la crisi nordcoreana è stata una leva per stringere sulla collaborazione. Ma alcuni analisti sottolineano il linguaggio molto delicato e quasi pro-cinese del comunicato (a cui Pechino ha risposto con una conferenza stampa): gli Stati Uniti “accolgono” la Cina; la Cina “può procedere”; gli Stati Uniti “riconoscono”, nota Axios. Sulla CNN Joshua Meltzer, senior fellow del programma Economia e Sviluppo Globale della Brookings Institution, ha definito l’accordo, e la narrazione di Ross, “un’esagerazione, per usare un eufemismo”. Per il New York Times, spesso critico con l’amministrazione Trump, l’accordo è debole perché non tocca questioni fondamentali come il mercato dell’alluminio, dell’acciaio o quello dei pezzi di ricambio per autovetture.

LE BISTECCHE AMERICANE

Spiega il Nyt che molte delle proposte sul piatto, in realtà, consistono nell’aggiungere nuove scadenze o dettagli ad accordi già raggiunti durante l’amministrazione Obama. Per esempio: la bega sull’importazione di carne americana dura da anni, e anche a settembre Pechino aveva promesso a Barack Obama di togliere il divieto, ma poi nulla è cambiato. Il punto è le misure igieniche americane, delle cui biotecnologie la Cina valuterà l’ammissibilità entro fine maggio (lo dice il comunicato) per far partire le importazioni entro il 16 luglio. Nel frattempo però il pollo precotto cinese potrà accedere sugli scaffali americani, dopo anni di blocco e resistenze del dipartimento di Agricoltura che temeva malattie come salmonella e aviaria. (Nota ovvia: in Cina vivono quasi un miliardo e mezzo di persone, e va da sé che l’esportazione della carne bovina americana verso le bocche da sfamare cinesi, seppur non determinante, sarebbe un passo importante verso il riequilibrio).

LA VIA DELLA SETA

Dall’amministrazione americana esce che uno dei fattori di contatto politico è la sponsorizzazione americana alla Nuova Via della Seta (OBOR, One Belt One Road), il tracciato commerciale strategico con cui la Cina programma di controllare i traffici in Eurasia; una riproposizione dell’odioso – per Trump – Tpp in salsa di soia, di cui intanto gli Stati Uniti ne hanno formalmente riconosciuto l’importanza nero su bianco giovedì. Diversi funzionari americani, tra cui Matthew Pottinger, che per il Consiglio di Sicurezza nazionale segue l’ufficio che si occupa di Asia, saranno a Pechino sabato e domenica per il prossimo vertice della OBOR.

LA RIQUALIFICAZIONE

La partecipazione di Pottinger e della sua delegazione all’incontro multilaterale cinese, insieme all’intesa diffusa da Ross giovedì, è la chiusura – momentanea, per lo meno – della linea aggressiva nei confronti di Pechino. Quella che aveva portato il Trump da campagna elettorale a urlare ai comizi che la Cina “stupra” l’economia americana, diventata adesso l’ammiccante “great guy” regalato al presidente Xi Jinping anche durante un’intervista all’Economist.

(Foto: Youtube, White House)



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