Quando sei premi Nobel per l’economia si decidono a fare la guerra all’euro, anche per i più strenui avvocati difendere la moneta unica diventa un’impresa ardua contrastarli. Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001 per il suo lavoro sulle asimmetrie informative, si trova in quella lista. Ma non è sempre stato così: in un saggio del 2007 dal titolo “la missione globale dell’UE” Stiglitz definiva il progetto europeo “un enorme successo” ricordando che l’UE aveva “realizzato il sogno” dell’integrazione economica. Oggi nelle sue conferenze per il mondo critica l’Unione Economica e Monetaria, la definisce “un esperimento andato male”, avanza dubbi sulla democraticità delle istituzioni a Bruxelles. Cosa fa cambiare così drasticamente opinione a un premio Nobel? L’austerity. In una conversazione alla LUISS insieme a Jean Paul Fitoussi, Stiglitz ha spiegato alla platea cosa non ha funzionato con l’euro e perché le politiche di austerity devono rimanere solo un brutto ricordo.
“L’Euro è un esperimento estremamente interessante, se non fosse che lo hanno fatto su persone reali. In America prima di fare esperimenti sulle persone di solito devi chiedere un sacco di permessi”. Inizia con questa frase cruda Stiglitz, presentato dal suo amico e collega Fitoussi come “un lavoratore che non si ferma mai”. Le sue idee sull’euro ormai sono note, perfino Matteo Salvini lo cita a memoria. Non che ciò gli faccia un gran piacere, ogni sua frase ormai viene strumentalizzata: “Dire qualsiasi cosa sull’Europa ti espone ai candidati di destra, le elezioni francesi sono un esempio chiaro”. “Joseph Stiglitz supporta Marine le Pen!”, scherza Fitoussi mentre il collega si affretta a smentire. Il dialogo riprende le fila della nascita dell’euro, facendo un balzo indietro fino a Maastricht e gli anni ‘90, quando i paesi membri si decidevano ad abbandonare i tassi di cambio fluttuanti per convergere sulla moneta unica. La cortina di ferro sovietica era da poco crollata e il neoliberismo economico trovava terreno fertile. “Si pensava che quella fosse la vittoria dell’economia di mercato, ma si sbagliavano: era una fede irrazionale nel mercato, la maggior parte della confusione che abbiamo oggi la dobbiamo a quegli errori”.
Fabrizio Saccomanni, presente in aula e all’epoca dirigente di Banca d’Italia, è l’unico a difendere l’entrata dell’Italia nell’euro: “Eravamo pressati dalla crisi del tasso di cambio, avevamo fatto drastiche svalutazioni della Lira e abbiamo usato la spesa in deficit, per noi tornare indietro era impensabile”.
Il vero fallimento però per Stiglitz è stata la gestione della crisi dei debiti sovrani nel 2010. La risposta della “Troika” (Commissione, FMI e BCE), “basata esclusivamente sull’austerity e le cosiddette riforme strutturali, è stata del tutto inappropriata”. Per Stiglitz parlano i fatti: prima del 2008 molti paesi, l’Italia in primis, avevano una produttività più alta perfino degli Stati Uniti. Le politiche strutturali proposte dalla Troika sono per lui la prova di quanto quest’Europa sia lontana dalle persone: “Mentre la Grecia sprofondava nella depressione, la Troika apriva un dibattito per dare una definizione di latte fresco, per capire se il discrimine dovesse essere di dieci giorni o meno, oppure discuteva quanto il pane dovesse essere salato”.
Il più grande errore negli ultimi anni, ricorda il premio Nobel, fu quello di preoccuparsi solo dei deficit di bilancio e del debito pubblico, senza pensare alle vere priorità: armonizzare le tasse, costruire una vera unione bancaria, garantire un comune sussidio di disoccupazione. Realizzare queste cose “non significa inventare la ruota, già esistono da altre parti”, l’unico ostacolo è la mancanza di una volontà politica.
Qual è allora la soluzione? Lasciare l’euro o lasciare l’Europa? Se sulla prima Stiglitz e Fitoussi sono concordi, sull’ipotesi di un addio all’UE il Nobel frena: “Un contro è decidere di entrare nell’UE, un altro conto è uscirne. La seconda opzione è molto più difficile perché dietro c’è un giudizio politico. E poi questo genere di operazioni non sono mai gestite nel modo appropriato e hanno sempre costi molto pesanti”.