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Tutte le magagne della Guardia costiera libica

guardia costiera, ong

Quando si confrontano politici e tecnici il risultato è scontato, soprattutto se i politici cercano un colpevole chiedendone conto ai tecnici.  L’ultima audizione dell’indagine conoscitiva della commissione Difesa del Senato sul ruolo delle Ong nel soccorso ai migranti è stata quella dell’ammiraglio Vincenzo Melone, comandante della Guardia costiera, che ha fornito precisazioni, sgombrato dei dubbi e deluso qualche aspettativa: “Rispondiamo alle Convenzioni a prescindere dal governo in carica e dal suo colore politico” ha esordito rispondendo alle domande dei senatori che avevano ascoltato nei giorni precedenti la sua relazione,  ribadendo che “la malattia si cura a terra” e che “non mi posso sostituire alla politica”.

LA POLEMICA POLITICA

L’aplomb istituzionale dell’ammiraglio è stato appena scalfito da una lieve irritazione rispondendo all’intervento di Paolo Romani, capogruppo di FI, che ha riepilogato quanto emerso in queste settimane sul ruolo opaco di alcune Ong e dintorni chiedendo allo stesso tempo un migliore coordinamento tra tutti i corpi dello Stato impegnati a fronteggiare il fenomeno. “Siete scollegati, il suo compito è anche quello di impedire che questo avvenga” ha contestato all’ammiraglio riferendosi al flusso migratorio. Melone è stato chiaro: “Il problema non è dell’essere umano che fugge, ma di un sistema che non è in grado di governare il fenomeno. E non potete chiedere alla Guardia Costiera di governare un fenomeno epocale”, con “centinaia di migliaia di persone pronte a partire e che aspettano il mare calmo”. Alla Guardia costiera non si può chiedere “di non guardare”, visto l’obbligo di salvare chi rischia di morire in mare, e non è mancata una stoccata all’agenzia Frontex che “potrebbe scendere di più” verso la Libia con le sue navi “e non restare a 70 miglia”.

I TRASPONDER E LA SCELTA DEL PORTO ITALIANO

Un interessante chiarimento tecnico ha riguardato il trasponder, congegno nato per evitare le collisione e che funziona in Vhf, dunque in linea retta: “Il segnale non segue quindi la curvatura della Terra e il suo recepimento dipende anche dall’altezza delle antenne delle imbarcazioni”. La spiegazione serve a capire che se l’imbarcazione di un’Ong è vicina alla Libia e nessuna nave militare è nei pressi in modo da vederla, la Guardia costiera non può sapere se c’è o no perché il segnale comunque non arriva. Melone ha comunque precisato che “non ci risulta che spengano il trasponder”. Un altro punto su cui si è molto discusso nei giorni scorsi è da chi dipenda l’indicazione del porto di sbarco perché molti parlamentari di centrodestra hanno voluto capire il ruolo del ministero dell’Interno. Il contrammiraglio Nicola Carlone, che accompagnava il suo comandante, ha spiegato che la scelta spetta alla sala operativa della Guardia costiera, ma che avviene di concerto con il Viminale considerando la situazione a terra di ciascun porto, privilegiando gli hotspot.

IL CROLLO DELLE CHIAMATE SATELLITARI

Nel 2015 le richieste di soccorso alla Guardia costiera provenivano per l’80 per cento da telefoni satellitari, l’anno scorso la percentuale è scesa al 45 e nel primo quadrimestre del 2017 al 36 per cento, cioè nel 64 per cento dei casi ci sono stati avvistamenti da parte di navi o di aerei. In particolare, l’anno scorso navi militari hanno avvistato il 45 per cento delle imbarcazioni bisognose di soccorso, il 30 per cento le Ong, il 9 per cento la Guardia costiera e il resto altre navi. Negli ultimi giorni, particolare curioso, i satellitari vengono usati pochissimo e “si è tornati al cellulare” ha detto Melone. La deduzione è che le chiamate partono da dove il segnale lo consente.

LA GUARDIA COSTIERA È POLIZIA GIUDIZIARIA

L’episodio del trafficante che ha ucciso un giovane solo perché voleva il suo cappellino da baseball è servito a Melone per spiegare che “se l’intervento fosse stato fatto non dalla Ong, ma in presenza di un’unità militare o di una delle Guardia Costiera, non credo proprio che sarebbe avvenuto”. Tutti i componenti delle Capitanerie di porto sono ufficiali di polizia giudiziaria, ha ricordato il comandante, tanto che dal 2015 a oggi sono stati fermati 858 scafisti, arrestati 28 e in 30 oggetto di misure cautelari. Il 50 per cento di questa attività è stato compiuto dal gruppo interforze costituito dalla procura di Siracusa di cui fa parte anche la Guardia costiera.

CHE COSA SUCCEDE IN LIBIA

Un’importante novità si è verificata nel pomeriggio del 10 maggio. Un’imbarcazione partita dalla Libia ha chiesto aiuto alla Guardia costiera italiana che ha avvertito i colleghi libici. Stavolta la Guardia costiera libica è intervenuta prendendo il comando dell’imbarcazione bloccata in acque internazionali e riportando 300 migranti nel porto di Tripoli. Un “risveglio”, l’ha definito Melone. Il problema è che la Libia ha due Guardie costiere: una militare che dipende dalla Marina e con la quale si interfaccia la Guardia costiera italiana, l’altra civile che dipende dal ministero dell’Interno. Senza intervento dei libici prevale il principio del “non respingimento” perché la Libia non ha riconosciuto la Convenzione di Ginevra ed è nelle condizioni statuali che si conoscono. Su indicazione della commissione Ue e con fondi europei già stanziati, la Guardia costiera italiana sta nel frattempo collaborando con i libici per realizzare nei prossimi mesi un centro di coordinamento e soccorso in mare anche in Libia.

DUBBI E NOVITÀ SULLE ONG

Gli ufficiali ascoltati in commissione Difesa hanno chiesto di secretare la seduta pubblica per rispondere a una domanda su eventuali problemi avuti nei rapporti con qualche Ong, cioè se ci siano stati casi di scarsa collaborazione o altro. La necessità di secretare dimostra che qualcosa da chiarire c’è. Mentre al comitato Schengen della Camera l’Ong Sos Méditerranée ha ribadito che l’attività è sempre sotto il coordinamento della Guardia costiera, il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, ha annunciato il fermo di un libico per concorso morale nell’omicidio del giovane della Sierra Leone che non aveva capito di dover cedere il suo cappellino. La novità sta nella collaborazione decisiva dell’Ong Moas (una di quelle nel mirino) che ha fornito il video girato da uno dei suoi due aerei. “È la prima volta per Catania che la Ong fornisce un filmato utilissimo” che conferma elementi già in possesso degli investigatori, ha detto Zuccaro. Chissà che le inchieste e le audizioni parlamentari non stiano servendo a qualcosa…

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