Intercettazioni satellitari, navi Ong con bandiera del paese di residenza, più forze di polizia giudiziaria per indagare sui trafficanti: “Il nostro focus non sono le Ong, ma i trafficanti”. E’ stata ricca di spunti, di notizie e di proposte operative l’audizione del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, davanti alla commissione Difesa del Senato. Zuccaro non ha ceduto di un millimetro rispetto alle posizioni espresse nei giorni scorsi ribadendo la sostanza della sua posizione e respingendo indirettamente gli attacchi che gli si sono riversati contro.
La fonte delle notizie riservate
Intanto una notizia importante: le informazioni riservate che gli fanno dire dall’inizio dell’esistenza di contatti diretti tra i trafficanti e alcune Ong non provengono dai servizi segreti, italiani o stranieri (“non potrei utilizzarle”), bensì dal comando della missione Eunavfor Med (guidata dall’ammiraglio Enrico Credendino), dall’agenzia Frontex e dalla Guardia costiera. E’ da lì, e in particolare dall’attività delle navi militari impegnate in quella missione europea, che arrivano conferme su contatti opachi. Un punto su cui il procuratore ha insistito è che da quando le Ong si sono spinte molto più avanti in mare nelle attività di soccorso, verso la Libia, l’attività giudiziaria “è in scacco” perché diventa impossibile sequestrare i telefoni satellitari o individuare i trafficanti che ne approfittano utilizzando barchini o gommoni molto precari.
Il giallo dei satellitari
La questione dei telefoni satellitari è molto interessante, tanto che Zuccaro ha chiesto momentaneamente la secretazione dell’audizione. Da dichiarazioni di migranti salvati, risulta che l’indicazione avuta dai trafficanti al momento della partenza è la seguente: se il salvataggio avviene da parte di navi militari, l’apparecchio dev’essere gettato in mare; se invece avviene da parte di Ong, va salvato. Zuccaro ha detto che la Guardia costiera ha verificato che più interventi sono stati richiesti con telefonate in partenza dallo stesso numero telefonico, il che significa che in qualche modo un telefono satellitare torna nella disponibilità dei trafficanti. Il procuratore ha spiegato che comunque non potrebbe essere chiesto alla Ong di consegnare l’apparecchio. La secretazione impedisce di avere altri dettagli, ma la domanda è: come fa un telefono usato su un barcone a tornare in mano a un trafficante? La risposta nasconde la vera notizia e forse spiega certe accuse del procuratore.
Più strumenti di indagine
Zuccaro ha chiesto aiuto al Parlamento per ottenere più strumenti di indagine per combattere il traffico illecito di migranti e le sue proposte sono le seguenti: consentire intercettazioni satellitari (“i cui costi però sono davvero elevati”); obbligare le navi delle Ong a battere la bandiera del paese di residenza delle organizzazioni mentre oggi molte hanno bandiere di paesi come Isole Marshall, Belize o Panama “con i quali è molto difficile la collaborazione giudiziaria”; maggiori unità di polizia giudiziaria per effettuare intercettazioni telefoniche o telematiche; un controllo degli aerei militari italiani per verificare se ci sono navi che si avventurano in acque territoriali libiche anche in assenza di richiesta di soccorso.
I dubbi sulle Ong
Zuccaro ha chiarito in modo inequivoco le sue valutazioni su alcune Ong: è fondamentale chiarire le fonti di finanziamento, e ha ribadito i dubbi sulla Moas, aggiungendo che tra gli equipaggi di alcune Ong si riscontrano “profili non sempre collimanti con quelli dei filantropi”, senza voler precisare a quali si riferisse. E sulle polemiche seguite alle sue interviste nelle quali ha espresso dubbi pur spiegando di non avere prove, il procuratore ha ricordato che nei suoi 36 anni di magistratura non ha mai “cercato” le telecamere, ma che non lanciare quell’allarme “sarebbe connivenza” e nulla ha a che fare con il riserbo di un magistrato. “Esistono Ong che operano per solidarietà: Save The Children e Medici Senza Frontiere non devono dimostrare a nessuno quello che fanno – ha spiegato Zuccaro ripetendo quanto detto in passato – datemi la possibilità di distinguere tra organizzazione e organizzazione”.
Polizia giudiziaria sulle navi
Dal punto di vista investigativo, Zuccaro ha chiesto una modifica normativa per avere ufficiali di polizia giudiziaria anche a bordo delle navi militari, ma a suo avviso non sarebbe sufficiente affidare questo compito alla Guarda costiera. Il motivo riguarda l’esperienza: non a caso, dopo la sua audizione delle scorse settimane di fronte al Comitato Schengen, Zuccaro ha rivelato di aver ricevuto offerte di ulteriore collaborazione da parte degli uffici centrali di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza.
Attenti alla mafia
L’enorme afflusso di migranti genera un giro di affari in Italia enorme e “le mafie appetiscono questa marea di soldi”, l’emergenza inoltre comporta l’apertura rapida di centri di accoglienza improvvisati alcuni dei quali, destinati a minori, sono stati chiusi solo successivamente quando sono stati fatti i controlli. Un fenomeno dunque che, “da cittadino”, deve portare a un maggiore impegno dell’Europa anche perché “la maggior parte di chi rischia la vita in mare per raggiungere il nostro Paese non ha diritto di asilo”. Inoltre, Zuccaro sollecita l’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento italiano in modo da poterlo contestare ai trafficanti per il trattamento subito dai migranti.
L’ambiguità di Malta
La giornata è stata arricchita da altre due audizioni. Che l’Italia sia “messa in mezzo” tra Libia e Malta è purtroppo noto da tempo, e non solo per motivi geografici: la Libia non è ancora in grado di controllare le proprie coste e Malta fa finta di niente. Nella corposa relazione che il contrammiraglio Nicola Carlone, capo ufficio operazioni della Guardia costiera, ha presentato il 3 maggio al Comitato Schengen della Camera è detto chiaramente che le autorità maltesi negano il permesso ad attraccare nei loro porti alle navi cariche di migranti.
“Ogni volta che riceviamo una chiamata di soccorso – ha spiegato l’ufficiale – avvisiamo i centri più vicini, ma ci dicono di no. E’ successo un mese fa, almeno un paio di volte con la Tunisia e succede spesso con Malta”. C’è di più: Malta tende “a sottovalutare le condizioni di reale pericolo in cui si trovano le imbarcazioni, per sottrarsi all’obbligo di dichiarare intervento Sar e dunque intervenire, e si limitano a un monitoraggio fino a quando le imbarcazioni non lasciano le loro acque territoriali”. In pratica fanno finta di niente finché le navi non si dirigono verso l’Italia: in questo modo le autorità maltesi evitano di far “scattare” la norma del Trattato di Dublino in base alla quale spetta al Paese di prima accoglienza gestire i migranti. Sull’altro fronte, Carlone ha spiegato che né la Libia né la Tunisia hanno mai definito un’area Sar (ricerca e soccorso) di loro competenza né tantomeno si sono organizzati in materia, senza contare che “in mare è difficile definire i confini contigui e dunque le responsabilità degli Stati”.
Più Ong, meno navi mercantili
Secondo il contrammiraglio l’intervento delle Ong non costituisce un fattore di attrazione e come esempio ha portato il bel tempo di questi giorni quando, nonostante una corposa presenza di navi di tutti i tipi, non si registrano partenze: “Il traffico viene regolato a terra dalle organizzazioni”. Le Ong hanno ridotto sensibilmente l’intervento delle navi mercantili che vengono comunque dirottate dall’Imrcc (centro di coordinamento italiano di soccorso in mare) della Guardia costiera: nel 2014 i mercantili sono intervenuti nel 24 per cento degli interventi, scesi al 10 nel 2015 e all’8 per cento l’anno scorso; di contro, gli interventi delle Ong sono raddoppiati dal 13 per cento del 2015 al 26 del 2016. Carlone ha anche confermato alcuni interventi nelle acque libiche, 16 sconfinamenti l’anno scorso, ma tutti autorizzati. Quando arriva una richiesta di soccorso da quelle acque “non possiamo far altro che avvisare la guardia costiera libica” che “risponde in modo altalenante: a volte ci vieta di intervenire, a volte ci dice di non essere in grado di procedere, altre ancora interviene direttamente senza informarci. In ogni caso, l’ingresso nelle acque territoriali libiche non è mai stato esercitato in maniera autonoma, ma sempre in seguito a una richiesta del centro di soccorso libico”.
Carlone ha ribadito un concetto ovvio, cioè che in mare non si stabilisce se una persona ha diritto all’asilo bensì si pensa solo a salvare la vita, “priorità assoluta”, aggiungendo che “non c’è soluzione in mare”: gli interventi devono essere fatti in Libia e nei paesi di transito. Stesso concetto espresso dall’ammiraglio Donato Marzano, comandante della Squadra navale della Marina militare, ascoltato dalla commissione Difesa del Senato: l’obiettivo dev’essere quello di creare anche in Libia un Mrcc per coordinare i soccorsi, “è l’unica strada altrimenti non se ne esce”. Un briciolo di ottimismo arriva dalle prime operazioni libiche di salvataggio che finora, ha detto Marzano, hanno portato al salvataggio di 1.500 persone. Una goccia nel Mediterraneo.