Di Martedì, puntata del 16 maggio scorso. In diretta si è celebrato il processo mediatico alle famiglie Boschi e Renzi dopo le ultime vicende dei casi Banca Etruria e Consip. Pubblici ministeri di grande prestigio come Piercamillo Davigo e Marco Travaglio. Avvocato difensore Mario Lavia dell’Unità, nominato d’ufficio (infatti si limita al classico “mi rimetto alla clemenza della Corte”) dal Presidente Giovanni Floris che ha condotto con la consueta perizia il dibattimento. Giuria popolare: il pubblico presente. Mentre la requisitoria di Travaglio si diffonde per dimostrare che – contrariamente a quanto sostiene la difesa – l’atto d’accusa pubblicato sul Fatto quotidiano non scagiona affatto Matteo Renzi, Davigo ha esplorato nuove frontiere del diritto processuale penale spingendosi persino a spiegare – tra larghi consensi della giuria – che le uniche sentenze veramente assolutorie sono quelle che accertano e dichiarano l’insussistenza del fatto. Le altre, che si limitato ad affermare che “il fatto non costituisce reato”, sono la testimonianza di un colpevole che l’ha fatta franca, perché prima la politica ha modificato, con dolo e malizia, la legge penale, abolendo i reati sui quali le valorose procure avevano indagato.
Vi racconto le nuove teorie processuali di Davigo
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