Proprio mentre celebrava i suoi primi 100 giorni alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato nuovi ordini esecutivi, due sul commercio e uno sull’energia, che, da un lato, proseguono sulla linea del rafforzamento della manifattura americana e della protezione dei prodotti made in Usa, dall’altro smantellano buona parte delle politiche ambientaliste di Barack Obama aprendo alle trivellazioni offshore, anche nelle aree protette.
COMMERCIO: SI RIVEDANO I TRATTATI
Donald Trump è il presidente che più ha usato gli ordini esecutivi (qui una lista completa) nei primi 100 giorni in carica dai tempi di Harry Truman, oltre 70 anni fa. Dei due nuovi ordini esecutivi sul commercio, il primo fornisce le direttrici per una revisione di tutti gli accordi commerciali esistenti, il secondo istituisce un nuovo ente, l’Office of Trade and Manufacturing.
“Crediamo nel ‘made in the USA’ e sarà presto realtà”, ha dichiarato Trump, “perché stiamo agendo come mai fatto prima per ricreare la prosperità americana, riportare lavoro in America e ridare vita al sogno americano”. Trump è poi volato in Pennsylvania, in una fabbrica di Harrisburg, insieme al capo delle sue strategie, Steve Bannon, che si è mescolato agli operai, accolto da un coro unanime: “USA! USA!”. Trump ha quindi annunciato la nomina di uno dei suoi massimi consulenti commerciali, Peter Navarro, alla guida nel nuovo Office of Trade and Manufacturing, il cui compito è promuovere politiche commerciali coerenti con la visione del presidente e potenziare le strategie di approvvigionamento federale con prodotti americani e creazione di posti di lavoro per gli americani. Navarro già dirige un altro istituto di nuova formazione, il White House National Trade Council, che ha compiti molto simili all’Office of Trade and Manufacturing, visto che dirige il programma “Buy America, Hire America” e consiglia il presidente sulle strategie negoziali in ambito commerciale.
ENERGIA: SÌ A NUOVE TRIVELLAZIONI OFFSHORE
In tema energia, Trump ha firmato un ordine esecutivo (America First Offshore Energy Executive Order) che autorizza nuove trivellazioni offshore, nel Pacifico, nell’Atlantico e nell’Artico. La strategia rende di nuovo possibile assegnare concessioni per le esplorazioni di petrolio e gas proprio nelle aree bandite da Obama. Secondo Trump, gli Usa hanno enormi riserve di petrolio e gas offshore ma il governo federale ne ha chiuso il 94% all’esplorazione. Naturalmente le concessioni non verranno riassegnate dall’oggi al domani: occorrerà un iter legislativo che potrebbe durare anche più di due anni. Ma per Trump “non c’è tempo per discutere sulle trivellazioni nell’Artico. Da oggi è via libera”. L’idea è favorire l’indipendenza energetica americana e creare posti di lavoro “americani”.
Nel suo secondo mandato Obama, nell’ottica di contrastare il cambiamento climatico, difendere l’ambiente e favorire le fonti rinnovabili, ha messo uno stop fino al 2022 alle nuove concessioni per cercare petrolio e gas al largo di California e Alaska. “La California farà guerra senza tregua all’ordine esecutivo di Trump”, ha promesso la senatrice Democratica californiana Dianne Feinstein. “Noi le perforazioni offshore non le vogliamo”. La California, memore di un disastro ecologico nel 1969 a Santa Barbara, da anni si batte per un divieto permanente ai nuovi leasing offshore, tanto che il segretario agli Interni Ryan Zinke ha dovuto mettere le mani avanti indicando che la Casa Bianca terrà conto delle posizioni locali. In California continuano a operare 27 piattaforme petrolifere offshore ma le nuove perforazioni in acque statali sono vietate dal 1969 e quelle in acque federali dal 1984.
CHE COSA SUCCEDE NELL’ARTICO
La direttiva di Trump intende anche annullare il divieto permanente di Obama alle trivellazioni in gran parte dei Mari di Beaufort e Chukchi, nell’Artico. Ma qui la situazione è diversa. Gli esperti dicono che dalle acque dell’Alaska si potrebbero estrarre 24 miliardi di barili di petrolio e 104.000 miliardi di piedi cubi di gas e molti politici dell’Alaska vogliono le esplorazioni – anzi, hanno più volte chiesto di ribaltare le politiche di Obama. Ma le difficoltà sono tante: si tratta di aree remote con condizioni ambientali e climatiche proibitive, dove vivono specie protette, come balene e trichechi, e dove il costo dello sviluppo è altissimo mentre i prezzi del petrolio sono bassi.
Shell ha avviato trivellazioni in questa zona nel 2015, dopo 7 anni di ricerche e una spesa di 7 miliardi di dollari, ma ha abbandonato il campo e passato la sua concessione offshore all’azienda locale Arctic Slope Regional Corp, mentre Hilcorp ha preso in mano un progetto che prima era di BP. La nostra Eni è ancora qui e mira alle riserve dell’area federale del Mare di Beaufort, una zona non coperta dai divieti di Obama, che si riferiscono alle acque statali.
Sviluppare in Alaska non sarà facile: i gruppi ambientalisti sono sul piede di guerra e possono fare appiglio a diversi strumenti legali. Secondo il Natural Resources Defense Council, l’ordine esecutivo del presidente non è valido: “Ci batteremo contro questa iniziativa che svende il futuro di nostri figli ai giganti dell’oil&gas”, ha detto il presidente del Council, Rhea Suh.
Intanto però Trump, con un ennesimo ordine esecutivo, ha ordinato la revisione delle esistenti aree monumentali e naturalistiche protette, promettendo di non distruggere niente ma spiegando che l’America ha bisogno di alimentare la sua economia per tornare grande. L’ultima parola spetta però all’industria: l’Alaska è una manna di risorse, non una “scatola di ghiaccio”, come reclamano i politici locali, ma se sviluppare ha costi proibitivi strizzare l’occhio ai giganti dell’oil&gas, per i quali far quadrare i conti è sempre più difficile, potrebbe non bastare.