Bene hanno fatto i vertici di Fiom, Fim e Uilm a chiedere un incontro urgente con il presidente Gentiloni e il ministro Calenda subito dopo la presentazione della nuova offerta della Jindal SWJ e della Delfin per l’acquisto del gruppo Ilva, e prima che questo sia formalmente aggiudicato, come si afferma in ambienti ministeriali, nella giornata del 5 o del 6 giugno alla cordata Am Investco Italy. E per quanto il ministro dello Sviluppo sottolinei come essa sia giunta fuori tempo massimo e che, pertanto, non possa essere accolta – perché in tal caso bisognerebbe rimettere in discussione con un nuovo provvedimento legislativo tutto l’iter della gara, incidendo anche sul prosieguo dell’attività produttiva dell’azienda – chi scrive ritiene invece che a precise condizioni temporali da stabilirsi in un nuovo atto del governo – che potrebbe essere anche un decreto legge cui per motivi di indifferibilità e urgenza la stessa presidenza della Repubblica non negherebbe la sua firma – si dovrebbe riaprire la gara su tutti le voci da valutarsi nelle offerte (prezzo di acquisto, piano industriale e interventi ambientali) proprio per l’interesse nazionale del nostro Paese che, volendo restare una grande potenza industriale, non può in alcun modo consentire che un asset strategico come l’Ilva sia di fatto depotenziato da un concorrente temibile come Arcelor.
E non credo poi che meritino particolare commento le affermazioni del ministro Calenda il quale ha aggiunto che il nostro Paese deve mostrarsi “serio” non potendo riaprire una gara internazionale già chiusa. Intanto bisogna ricordare che già in passato – quando si era deciso di vendere il gruppo in amministrazione straordinaria – il governo aveva fatto marcia indietro, a fronte di prime offerte di acquisto sia pure informali apparse allora irrisorie per l’importo proposto. E bene pertanto aveva fatto in quella circostanza il governo Renzi a fermare una vendita certamente non utile al Paese almeno nei termini in cui si prospettava. Poi è necessario rammentare che i termini di presentazione delle offerte per l’Ilva, una volta pubblicato il bando di gara, in passato sono stati già posticipati più volte.
Ma poi è più che mai opportuno sottolineare che i livelli occupazionali prefigurati a breve termine e a regime dal raggruppamento guidato da Arcelor e il piano industriale che li giustifica delineano in realtà un vero “bagno di sangue sociale” per le maestranze del gruppo in vendita e giustamente i sindacati ne sono preoccupati per le drammatiche conseguenze in due città come Taranto e Genova, dove peraltro si vota per le comunali l’11 giugno prossimo.
Comunque, non vorremmo pensare neppure per un attimo che il ministro Carlo Calenda – che ‘a tecnico gode dell’invidiabile privilegio di non dover rispondere ad elettorati di partito – sia disinteressato alle sorti di migliaia di persone che sarebbero espulse dal processo produttivo dell’Ilva. E tuttavia sulla richiesta dei sindacati si dovrebbe esprimere non solo lui ma tutto il governo e in primis il presidente del Consiglio.
Federico Pirro – Università di Bari