L’Italia attacca, l’Europa prova a difendersi, la Francia opera dei distinguo. Se il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, arriva ad affermare che il fenomeno migratorio va governato “assicurando contemporaneamente la sicurezza dei cittadini” vuol dire che siamo arrivati al limite perché unire i temi dell’immigrazione e della sicurezza è stato spesso un tabù. Mattarella durante la visita di Stato in Canada non ha potuto evitare un commento su quanto sta accadendo nel Mediterraneo, fenomeno che rischia di essere ingestibile, per usare le sue parole, perché l’enorme affluenza di migranti negli ultimi giorni (si calcolano 12mila persone) pone una serie di problemi: di politica estera, di politica interna, di assistenza. E dal vertice di Berlino in vista del G20 di Amburgo sono arrivate notizie positive, ma anche distinzioni che complicheranno le cose.
L’Europa alla prova della verità
Il passo diplomatico compiuto dall’Italia a Bruxelles il 28 giugno è stato indubbiamente una svolta e alcune reazioni sorprese fanno venire il sospetto che qualcuno continuasse a considerare l’Italia ventre molle, dunque incapace di “aut aut” come quando l’ambasciatore Maurizio Massari ha comunicato al commissario europeo all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, che in queste condizioni l’Italia potrebbe impedire l’ingresso nei porti alle navi cariche di migranti battenti bandiera straniera. In particolare, il blocco riguarderebbe le navi delle Ong e non quelle partecipanti alle missioni internazionali: sarebbero quindi escluse la missione dell’agenzia europea Frontex ed Eunavfor Med (Operazione Sophia).
Gli impegni in vista dei vertici
L’incontro preparatorio tenuto a Berlino il 29 giugno in vista del G20 di Amburgo del 7 e 8 luglio sembra aver dissipato dubbi sull’emergenza in atto e ora l’Italia attende impegni concreti. Secondo il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, al vertice informale dei ministri dell’Interno in programma mercoledì 5 luglio a Tallinn dovrebbe esserci “un primo sbocco concreto”. Gentiloni nella conferenza stampa è stato molto chiaro invitando a distinguere la strategia di politica estera, che vede l’Italia impegnata nei rapporti con alcuni Stati africani di partenza o di transito dei migranti e nella vicenda libica, dall’emergenza attuale: “L’attività di Sar (Search and rescue, ndr) è stata internazionalizzata, ma l’accoglienza è in carico a un solo Paese”. Agli altri membri dell’Ue è stato quindi chiesto di ragionare sul ruolo delle Ong e dell’agenzia Frontex e sulla ricollocazione dei migranti. “Non violiamo le regole o vogliamo rinunciare a un atteggiamento umanitario: siamo sotto pressione e chiediamo il contributo concreto degli europei” ha concluso Gentiloni.
Richiedenti asilo e migranti economici
Il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, ha definito Italia e Grecia “eroiche” e non possono essere abbandonate; il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, si è detto pronto a dare “q ualsiasi aiuto all’Italia per evitare che si crei una situazione non più gestibile, drammatica”; anche la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il presidente francese, Emmanuel Macron, hanno dato la loro disponibilità e Merkel si è augurata “una soluzione concordata” a Tallinn. Macron, però, ha messo il dito sulla piaga distinguendo chi ha diritto all’asilo dal migrante economico perché la ricollocazione in Europa riguarda solo i primi: il presidente francese ha ricordato, infatti, che l’80 per cento delle persone che sbarcano è composto da migranti economici e quindi per definizione non aventi diritto alla protezione internazionale. “Non dobbiamo confondere” ha detto. Per l’Italia sarebbe comunque un grande passo avanti poter contare sull’effettiva ricollocazione dei rifugiati politici, oltre a vedere dirottate altrove alcune navi.
Gli scontri interni all’Unione sono ben noti, in particolare per la posizione rigida di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, e non era piaciuta la prima e burocratica reazione dell’Ue: all’Italia arriveranno più soldi (certo graditi, visto che i costi per l’immigrazione quest’anno sfioreranno i 5 miliardi) però i cambiamenti vanno discussi per “dare tempo alle Ong di prepararsi”, aveva detto una portavoce subito dopo il diffondersi della posizione italiana. La frase dimostrava che i vertici della Commissione erano stati presi in contropiede perché, con tutto il rispetto, non si capisce su che cosa dovrebbero prepararsi le Ong alle quali la Guardia costiera indica in quale porto dirigersi.
Il ruolo della Guardia costiera
Sarà interessante conoscere i dettagli operativi dell’ordine che sarà impartito nei prossimi giorni alla Guardia costiera dal ministero dell’Interno. Oggi quella sala operativa, appena riceve una richiesta di aiuto, dichiara l’emergenza e attiva tutto quanto previsto per un’operazione Sar. E’ quella sala operativa, una volta salvati i migranti da navi delle Ong o militari o mercantili dirottati sul posto, a indicare il porto dove dirigersi, d’intesa con il Viminale. Dal confine delle acque libiche dove avviene la gran parte dei salvataggi il porto più vicino non è necessariamente italiano, quindi la Guardia costiera dovrà ordinare a quell’imbarcazione Ong di dirigersi altrove (un altro porto vicino o perfino un porto dello Stato di bandiera). Una situazione delicata perché, in teoria, un’organizzazione non governativa che non accetta la nuova strategia italiana potrebbe disobbedire e tentare ugualmente l’arrivo in Italia. Ipotesi estrema, naturalmente: ecco perché una collaborazione internazionale è indispensabile visto che dall’opposizione (Maurizio Gasparri e Roberto Maroni, per esempio) si torna a invocare il blocco navale, operazione tecnicamente quasi impossibile senza correre rischi di naufragio. A quanto pare, è inutile ricordare periodicamente quanto avvenne nel Canale d’Otranto vent’anni fa con quella che fu chiamata “la strage del Venerdì Santo”.
La politica italiana
La decisione del Governo ha ovviamente trovato l’appoggio di gran parte delle opposizioni e non è un caso che non sia stato ancora calendarizzato nell’Aula del Senato il provvedimento sullo “ius soli” rinviato a dopo i ballottaggi delle elezioni amministrative in seguito alle polemiche delle scorse settimane. Pur tenendo conto delle diverse posizioni “ideologiche” sul tema, le difficoltà dell’accoglienza sul territorio sono bipartisan. I due terzi dei Comuni non accettano di accogliere una quota di migranti e questo aumenta le difficoltà delle altre amministrazione comunali, a loro volta contrarie ad aumentare la propria quota anche per paura della reazione dei cittadini, e di conseguenza del Viminale che tra un po’ non saprà letteralmente dove sistemare i nuovi arrivati.
Questo però è un momento da unità nazionale: lo scontro con l’Ue dovrà essere portato alle estreme conseguenze e una posizione condivisa rafforzerebbe il ruolo italiano nelle trattative. Ci sarà tempo, dopo, per le polemiche.