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Mps, Banca Etruria e non solo, perché le Considerazioni di Visco non mi hanno entusiasmato

Ignazio Visco

Nulla di personale, ma le considerazioni finali di ieri del governatore della Banca d’Italia Visco vanno iscritte nel lungo capitolo della denial strategy, di una costante negazione della realtà e dell’emergenza.

Autoassoluzioni, punture di spillo a distanza con Renzi, fervorini sull’educazione finanziaria, precettistica astratta sul da farsi (europeo e domestico), la retorica del “grande impegno”, l’immancabile riferimento alla “politica che non aveva pienamente compreso”…

Purtroppo il governatore ha dimenticato di dire dove fosse e cosa facesse (o non facesse) Bankitalia, e come mai anche la Banca Centrale (come i maggiori partiti, i maggiori giornali, i maggiori player) continui oggi a far finta di non vedere che nei prossimi mesi le crisi bancarie possono essere (insieme alle aste di titoli del debito pubblico) i due principali inneschi di un incendio italiano di fine-2017. O vogliamo raccontarci – per limitarci ad un solo esempio – che le banche venete scoppino di salute?

Il rischio è concreto, la sabbia nella clessidra è quasi esaurita, eppure se ne continua a parlare in modo soffice, ovattato, lontano.

Colgo dunque l’occasione qui (e dove, se no?) per ricordare 14 cosette sulle quali, insieme ai miei colleghi, mi sono battuto per tre anni, ottenendo un no su tutti i fronti: Bankitalia in testa, per quanto di sua competenza.

  1. Nella primavera-estate del 2015, in occasione del recepimento della normativa europea sul bail in, con i miei colleghi parlamentari indicai il rischio di frettolosità e superficialità con cui si affrontava il problema. Lo stesso Parlamento e le stesse forze politiche che avevano dedicato mesi interi a discutere di temi assai meno rilevanti per cittadini e risparmiatori (Italicum e dintorni…) decisero invece di adottare in modo veloce e pressoché acritico la nuova normativa europea, ignorando ogni preoccupazione e osservazione.
  2. In una logica liberale, non si trattava certo di riproporre o perpetuare la logica dei salvataggi di stato, a spese dei contribuenti, con il bail out. Ma si spiegava, da parte nostra, che doveva esserci un’adeguata preparazione al passaggio alla nuova fase.
  3. Chiedemmo in particolare che la Banca d’Italia venisse a informare tempestivamente sulle situazioni anche potenzialmente più critiche: e invece, in ogni sede, si ripetevano rassicurazioni sulla assoluta solidità delle nostre banche.
  4. Inoltre, e questa era la nostra richiesta centrale, proponemmo una grande campagna di informazione a favore di investitori e risparmiatori, per ricordare la prima regola: differenziare, non mettere tutte le uova in un solo paniere. Ci sembrava il modo più saggio di informare (e tutelare) i cittadini. Una campagna capillare sulla Rai, sul servizio pubblico, come i governi ne hanno sempre fatte sui temi più marginali (perfino sugli orari delle discoteche). Ci hanno detto no.
  5. Chi scrive è stato sostituito dalla maggioranza renziana (e con piena intesa nazarena…) ad agosto 2015 dalla presidenza della Commissione Finanze della Camera, che ha tra le sue competenze quella sulle banche…
  6. Poco dopo, in autunno, in occasione della nota crisi che ha coinvolto quattro istituti bancari italiani, con i miei colleghi proponemmo di ricorrere al Fondo interbancario di tutela dei depositi: denaro privato, non pubblico, per una iniezione di capitale per le banche sofferenti. E invece l’esecutivo ha accettato di subire quello che fu presentato come un veto europeo.
  7. In realtà, la lettera al governo italiano proveniente dalla Commissione europea, successivamente resa nota, pur nella sua ambiguità, lasciava uno spazio per una trattativa con le autorità europee. Sia per ricorrere al Fondo interbancario di tutela dei depositi, sia – su un altro piano – per ricorrere a dei warrant a favore degli obbligazionisti, secondo il modello utilizzato nel 1982 dopo la crisi del Banco Ambrosiano.
  8. Tuttora non si comprende perché il governo italiano si sia fermato, rinunciando a una serrata trattativa con le autorità europee (trattativa portata avanti, invece, solo per ottenere gli “zero virgola” necessari a giustificare e coprire le mancette e le marchette elettorali di Renzi).
  9. A partire dalla vicenda Banca Etruria, ho chiesto con una lettera pubblica al governatore di Banca d’Italia Visco di rendere noti (nelle forme – a sua totale scelta – consentite dalla legge, dalla privacy, dall’opportunità) i destinatari di mutui ed erogazioni, a qualunque titolo, che hanno portato allo sfascio di alcuni istituti e alla montagna dei crediti inesigibili. Risposta negativa.
  10. Ma torniamo al quadro complessivo. Avevamo spiegato che il mostriciattolo “Atlante 1” non avrebbe funzionato, o comunque non sarebbe bastato. Ci hanno detto di no.
  11. Da ultimo, sfiniti, avevamo spiegato che anche il nuovo mostriciattolo “Atlante 2” non avrebbe raccolto le risorse necessarie. Nonostante le pressioni del Governo, non si capiva perché mai investitori e fondi previdenziali avrebbero dovuto dare “l’oro alla patria” (anzi, l’oro a Renzi) per una discutibilissima operazione su Mps.
  12. Avevamo suggerito (in un convegno da me organizzato nell’estate 2016 con una serie di personalità: da Alberto Mingardi a Natale D’Amico a Lamberto Dini) il ricorso all’Esm, cioè alla strada maestra del Fondo salva-Stati. Meglio bussare subito volontariamente a quella porta (come fece la Spagna) piuttosto che aspettare che qualcuno – da dentro – uscisse fuori (o esca oggi!) minacciosamente per imporci condizioni ancora  più umilianti. Ci hanno detto no.
  13. Mentre Renzi sventolava gli pseudo accordi (Jp Morgan, Qatar, eccetera), favoriva la sostituzione della governance Mps, convocava o faceva convocare frenetiche riunioni, spiegavamo che era un’illusione attendere il referendum. La ricapitalizzazione non sarebbe avvenuta. E, indipendentemente dall’esito referendario, nessuno avrebbe messo 5 miliardi entro il 31 dicembre.
  14. Personalmente, resto contrarissimo all’uso del denaro dei contribuenti, alle nazionalizzazioni, ai salvataggi pubblici. Segnalo peraltro, che, in base alle norme europee (anche nel quadro del bail in), lo Stato può intervenire in circostanze eccezionali, ma nel quadro di un significativo “burden sharing”, cioè di una suddivisione degli oneri. Traduzione: per i “salvatori pubblici”, occorrerebbe comunque bastonare migliaia e migliaia di obbligazionisti subordinati (a meno che non si scelga la strada da noi proposta del warrant, che almeno potrebbe in futuro ristorarli un pochino in una logica di mercato).

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