“Se sei bello ti tirano le pietre, se sei brutto ti tirano le pietre…”. Una vecchia canzone degli anni Settanta riassume un po’ quello che sta capitano a Matteo Renzi in questi giorni in cui la legge elettorale ha ripreso il centro della scena del dibattito politico. Oggi, infatti, il testo arriva in Aula e, se andrà bene, l’approvazione in Camera e Senato potrebbe arrivare all’inizio di luglio. All’ultima direzione in cui ha ricevuto il via libera dal partito sulla trattativa, il segretario del Pd ha sottolineato un punto che pochi hanno colto. “Quando c’era l’Italicum mi dicevano che il premio di maggioranza era troppo alto e che, con il combinato disposto con la legge elettorale, poi un solo partito si sarebbe preso tutto. Ora invece mi criticano per una legge fondamentalmente proporzionale che il premio di maggioranza non lo prevede. Ci sarà l’ingovernabilità, dicono. Beh, qualsiasi cosa io faccio, sbaglio…”, ha detto Renzi in un passaggio del suo intervento, davanti allo stato maggiore del suo partito, lo scorso 30 maggio.
Ha ragione Renzi? Partiamo da un presupposto: l’Italicum ha ricevuto indirettamente una sonora batosta al referendum del 4 dicembre scorso. Perché, bocciando la riforma costituzionale, gli italiani hanno anche detto no a una legge elettorale dichiaratamente maggioritaria. Messo da parte l’Italicum, il Pd si è rimesso in moto per allestire una trattativa su un nuovo testo. Senza addentarci ora (lo faremo in seguito) nella ridda delle motivazioni del perché Renzi abbia virato il timone da una riforma elettorale al suo esatto opposto, occorre però dire che dal suo punto di vista il ragionamento può anche stare in piedi.
Agli italiani il maggioritario non piace? Bene, allora si riparte da una legge assai diversa, vicina al proporzionale. Questo è il passaggio logico che il segretario del Pd ha fatto e continua a fare con gli interlocutori che, anche in privato, gli muovono critiche. “Questo ragionamento non sta in piedi, perché non si può passare da un sistema al suo esatto opposto. All’Italicum c’erano tante alternative, come ad esempio il Rosatellum, compromesso su cui si poteva ragionare e che aveva provocato tiepide reazioni positive anche a sinistra”, osserva Franco Monaco, deputato del Pd e prodiano doc. “Invece la sterzata di Renzi, accompagnata all’accelerazione sulla data del voto, sembra avere solo il senso di stringere un accordo con Berlusconi per andare alle urne al più presto e riceve poi il via libera per Palazzo Chigi proprio da Forza Italia. E comunque una cosa è certa: il Pd con questa scelta si lascia alle spalle qualsiasi eredità della cultura dell’Ulivo, che è nato su tutt’altri auspici, nel segno del maggioritario e della democrazia dell’alternanza”, aggiunge Monaco.
Avalla, invece, il ragionamento renziano Giuseppe Lauricella, deputato Pd esperto di sistemi elettorali, uno dei suggeritori delle modifiche al modello verso cui si sta andando. “Se l’Italicum ha trovato la strada sbarrata, è normale che si vada verso un altro sistema. E il ritorno al proporzionale è il frutto della lettura della realtà: il maggioritario con tre blocchi contrapposti non funziona più”, spiega il deputato siciliano. Che poi rimanda la memoria alla nascita del maggioritario, nei primi anni Novanta. “Allora il sistema fu imposto dall’alto, non c’era una reale necessità di un sistema bipolare, anche se c’era l’esempio della legge che eleggeva i sindaci. Oggi si poteva insistere sul modello iper maggioritario, ma sarebbe stata una forzatura. La scelta del proporzionale corretto, invece, si confà di più alla situazione politica attuale”, osserva Lauricella. Insomma, secondo il deputato dem, Renzi non ha fatto altro che “intraprendere una strada diversa da quella percorsa con la riforma bocciata il 4 dicembre”. Rischi di incostituzionalità? “Solo per quanto riguarda la mappatura dei collegi, che risale al 1991 – risponde Lauricella -. Per il resto questo sistema di voto, con le correzioni che stiamo apportando, reggerà all’esame della Consulta”.