Il neo-presidente francese non ha atteso di essere eletto, né tanto meno l’elezione del nuovo Parlamento, per annunciare con precisione la riforma del lavoro che considera la più importante delle proprie scadenze programmatiche.
Questi i contenuti di maggior rilievo: fissazione di un tetto agli indennizzi per i licenziamenti nella misura di un mese per anno di anzianità; potenziamento dei servizi per l’impiego con l’introduzione di un meccanismo simile al nostro assegno di ricollocazione; attribuzione al contratto aziendale del potere di derogare a quello di settore e anche al Code du Travail, compresa la normativa relativa alle 35 ore settimanali, salvi i limiti inderogabili fissati da norme sovranazionali; qualora il contratto aziendale sia sottoscritto da una parte soltanto dei sindacati, che rappresenti non meno del 30 per cento dei lavoratori, possibilità che esso sia reso efficace mediante referendum; unificazione dei tre organi aziendali di rappresentanza dei lavoratori in una Délégation unique du personnel elettiva; infine, ultimo in ordine di tempo perché si calcola che richiederà un anno, la riscrittura integrale semplificata del Code du Travail, per renderlo di più facile lettura.
Questi obiettivi ci ricordano qualche cosa? Ecco, consideriamo che Emmanuel Macron, nel corso del recente incontro a Berlino con Angela Merkel, ha indicato questa come la più importante di una serie di riforme necessarie per aumentare la produttività del lavoro dei francesi, dunque le loro retribuzioni, rendere il Paese più attrattivo per gli investitori e affidabile per i partner Ue. E consideriamo anche che, della riforma in tutto simile preannunciata dal governo Renzi anche in documenti di rilievo internazionale, è ancora tutta da realizzare la parte relativa al sistema delle relazioni industriali e per metà quella relativa all’assegno di ricollocazione e alla riscrittura del Codice del lavoro. Cerchiamo di non dimenticare che nella prossima legislatura l’opera andrà completata anche qui da noi.