Ennesima giornata di passione per gli italiani, costretti a fare i conti con un nuovo sciopero paralizzante nel settore dei trasporti.
Il tocco surreale è nelle motivazioni dell’agitazione: contro “privatizzazioni e liberalizzazioni”. Entrambe inesistenti, ovviamente: ma presentate come spauracchi contro cui scioperare, naturalmente di venerdì, così il weekend si dilata un po’.
C’è un punto culturale e un punto politico che vanno rimessi sul tavolo.
Primo: non sono forse lavoratori e cittadini anche gli utenti dei mezzi pubblici, quelli che devono spostarsi per lavoro, i pendolari? Costoro sono dunque lavoratori e cittadini di serie b?
Vanno rispettati anche i diritti dei cittadini che non scioperano, che devono lavorare e sono vittime dell’altrui sciopero, che devono muoversi e sono messi in ginocchio da forme e modalità dell’agitazione sindacale.
Secondo. È l’ora di rompere il tabù, e di dire che ormai è indifferibile la necessità di norme più restrittive in materia di sciopero. Un conto è il diritto di sciopero, che è sancito a livello costituzionale. Altro conto sono le forme e le modalità del suo esercizio.
Molto spesso le norme vigenti non sono nemmeno rispettate, e in ogni caso andrebbero rese più rigorose. No al venerdì, no alle giornate cruciali, maggioranze molto più impegnative ed elevate per indire sciopero, restrizioni ulteriori nell’ambito dei servizi essenziali. O si fa qualcosa del genere, oppure – anche per questa ragione – il declino italiano sarà sempre più irreversibile.