Durante un’intervista al New York Times il presidente americano ha attaccato pubblicamente (come mai prima) un pezzo importante della sua amministrazione, il ministro della Giustizia Jeff Sessions, accusando di aver voltato le spalle alla presidenza quando ha deciso di ricusarsi sulla “Russian-thing“, l’indagine su collegamenti tra le interferenze russe durante le presidenziali e il comitato Trump. Sessions è un amico personale e alleato politico di Trump, oltre che un pezzo grosso del governo: per questo l’attacco del presidente prende risonanza. Il procuratore generale il giorno successivo alla pubblicazione dell’intervista è andato davanti ai giornalisti e ha fatto capire di non temere quei rimproveri, e di voler andare avanti nel suo ruolo di cui “è onorato”. Commento serale nel briefing stampa della Casa Bianca: il presidente “ha completa fiducia” in Sessions – l’ultima volta che dissero così fu nel caso di Michael Flynn che aveva mentito proprio su alcuni contatti avuti con i russi: Flynn, amico e alleato di Trump, nominato Consigliere per la Sicurezza nazionale, nel giro di un paio di giorni rassegnò le dimissioni (si parla al passato remoto, ma era solo cinque mesi fa).
L’IMMAGINE E LA TRASPARENZA…
Dal 29 giugno gli incontri quotidiani nella press room della Casa Bianca vengono fatti off-camera: ossia, un portavoce va davanti ai giornalisti, che però non possono registrare video – la CNN una volta ha mandato un disegnatore, che ha fatto uno schizzo di quello che succedeva live, una specie di quelle strisce fumettistiche che si vedono nel caso di alcuni processi a porte chiuse, soprattutto negli Stati Uniti. L’assenza di trasparenza è una della accuse che si porta dietro l’amministrazione. L’analisi sui primi sei mesi della Sunlight Foundation (importante no-profit americana che studia i processi di trasparenza e accoutanbility del governo) è impietosa: “Questa è un’amministrazione segreta, allergica alla trasparenza, eticamente compromessa e ostile al ruolo essenziale che il giornalismo svolge in una democrazia”.
… CONTRO I MEDIA
I briefing stampa senza telecamere sono un’immagine granitica della situazione. Seguire la linea dettata in un intervento alla Heritage Foundation dal capo della redazione politica di Breitbart, sito proto-trumpista creato anni prima dell’avvento di Trump dallo stratega della Casa Bianca Steve Bannon: “L’obiettivo finale è la completa distruzione e l’eliminazione di tutti i media principali. Prevediamo un giorno in cui la CNN non è più in attività. Immaginiamo un giorno in cui il New York Times chiude le sue porte. Penso che quel giorno sia possibile”.
I CALCOLI (RENALI) DELLA CASA BIANCA…
Al 1600 di Pennsylvania Ave si respira un’aria pesantissima che esclude l’attenzione dall’azione di governo; che in realtà viaggia schizofrenica, con le leggi importanti che non passano al Congresso, ma con una situazione economico-finanziaria che corre come a ritmi elevati, con qualche collaboratore che proba a sciorinare i numeri record di Wall Street e quelli della disoccupazione in calo. Però l’attenzione è per forza deviata, il caso è da cinema: la prossima settimana tre big della campagna Trump si troveranno a testimoniare davanti alle commissioni congressuali che indagano il Russiagate: sono Don Jr, figlio maggiore del presidente, Jared Kushner, genero-in-chief, Paul Manafort, ex capo della campagna elettorale, protagonisti dello sgangherato e sciagurato incontro con l’avvocatessa russa che prometteva informazioni sul conto di Hillary. La più ripresa è quella detta da una fonte interna al super informato Mike Allen: è come quei giorni in cui aspetti di espellere un calcolo renale.
… E I CONTI IN TASCA AI TRUMP
Nel frattempo lo special consuel che per il dipartimento di Giustizia (guidato dal ricusato Sessions) si occupa dell’inchiesta, Robert Mueller, starebbe per iniziare (o ha già iniziato?) a scrutinare alcuni affari personali di Trump con la Russia – il concorso di Miss Universo di Mosca e questioni immobiliari a SoHo e in Florida, spiega la Bloomberg – in apparente, logico disinteresse nei confronti di un monito che il presidente aveva diffuso, diagonalmente, durante l’intervista al Nyt ; alla domanda, sono una “red line da non oltrepassare i suoi affari personali?” il Prez ha risposto “direi di sì”.
TRUMP VA ALL’ATTACCO (CON RISCHIO)
Contro Mueller Trump ha rimesso in campo i suoi avvocati, forse anche perché si sta spingendo troppo oltre: scatenati già durante lo scorso weekend per minimizzare l’entità dell’incontro tra Don Jr e l’avvocatessa russa, ora il team legale personale del presidente starebbe cercando di spulciare il passato del procuratore e dei suoi super-collaboratori per trovare conflitti d’interesse nascosti nell’armadio. Lo scopo: bloccare il Russiagate. La bomba l’hanno sganciata in due pezzi simili il New York Times e il Washington Post, usciti entrambi giovedì. Riflessione: se i due più grandi giornali del mondo hanno le stesse informazioni, evidentemente c’è qualcuno alla Casa Bianca che continua a essere ansioso di passare ai media dati scottanti sulle attività di Trump e affini. Il conflitto d’interesse, di cui lo stesso presidente ha parlato anche nella chiacchierata col Nyt, è uno dei motivi che può essere formalmente usato per rimuovere dall’incarico un procuratore speciale – giovedì il portavoce del team di avvocati di Trump, Mike Corallo, si è dimesso. “Per quanto possa sembrare iperbolico”, scrive Josh Marshall su TPM, Trump sta mandando i suoi legali “contro la legge stessa”.