Il ritorno del capolavoro filosofico, storico, politico ed anche teologico di Joseph de Maistre (1753-1821), Le serate di San Pietroburgo che le Edizioni Fede & Cultura (pp.398, 28,00 euro) ripropongono nella nuova versione e con le note di Carlo De Nevo, arricchito dalla illuminante prefazione di Ignazio Cantoni, è davvero un “segno dei tempi”. Il processo rivoluzionario incominciato oltre due secoli fa ha raggiunto il suo scopo: l’inversione di tutti i valori che hanno connotato le società umane e quelle occidentali in particolare. Il “verbo” controrivoluzionario, pur manifestandosi in maniera discontinua ed abborracciata, non incide come sarebbe auspicabile nel formare una tendenza reazionaria in grado di movimentare l’opposizione alla distruzione della famiglia, alla disarticolazione delle comunità e dei corpi naturali, alla decadenza della vita pubblica. E, soprattutto, le classi dirigenti soggiogate da un nichilismo che farebbe orrore agli stessi rivoluzionari del 1789, appiattite sul relativismo morale e culturale, non sono assolutamente capaci di restituire agli Stati ed alle nazioni ruolo ed identità tanto che l’Europa maistriana, come sarebbe auspicabile, rimane un’utopia. La ripubblicazione delle Serate, dunque, è allo stesso tempo una provocazione ed un’occasione per riflettere su quanto è accaduto dalla Rivoluzione in poi e si è accentuato dalla seconda metà cel secolo scorso, coinvolgendo nella pratica relativista che denuncia, la stessa chiesa cattolica ed ogni principio religioso e metafisico.
Quando, oltre quarant’anni fa il compianto Alfredo Cattabiani, propose l’opera di de Maistre in pieno delirio post-sessantottesco, edita da Rusconi, e preceduta da un corposo saggio introduttivo che rimane la più bella biografia del grande savoiardo, gli sguardi delle occhiute polizie politiche dell’apparato intellettuale gridarono allo scandalo. Oggi di scandaloso non v’è più nulla. L’indifferenza domina sovrana. E perfino un’opera come questa non suscita le reazione avverse che si si attenderebbero, non foss’altro che per metterla all’indice da parte dei progressisti e dei neo-illuministi. Niente. De Maistre non fa più male. Non è un segno incoraggiante. Le stesse élites intellettuali del campo anti-laicista non sembrano sprecarsi più di tanto nel tenere viva una tradizione culturale che sola potrebbe contrastare la decadenza. E su questa ignoranza si fonda il declino o l’irrilevanza delle forze che immaginano di opporsi al conformismo imperante, ma in realtà ne sostengono l’impalcatura ideologica fino all’apologia della morte racchiusa nell’eutanasia come il piccolo Charlie Gard per il quale è stata decretata la “pena capitale” da tribunali nazionali e transnazionali perché la scienza ha deciso che senza l’ausilio di una macchina non potrebbe vivere.
All’epoca la prima edizione italiana delle Serate, suscitò scalpore nell’intellighentia progressista; oggi nessuno se ne accorgerà: i furori ideologici sono appassiti e perfino de Maistre trova posto dove nessuno avrebbe mai immaginato. Anni fa le sue Considerazioni sulla Francia furono pubblicate dagli Editori Riuniti, un buon segno che tuttavia depotenziava la critica distruttiva maistriana della rivoluzione francese. Un’abile operazione di “trasbordo ideologico”. Comunque la si pensi, le Serate è una delle opere che in un ideale scaffale della cultura europea non può mancare. E tanto più se ne apprezza il valore quanto più le riflessioni del conte savoiardo si palesano “attuali” in chiave critica della modernità. Articolato in undici colloqui cui danno vita tre personaggi – il conte, il senatore e il cavaliere – sul “governo temporale della Provvidenza”, il libro è una sontuosa apologia della Tradizione costruita attorno alle contraddizioni del pensiero occidentale quale è venuto manifestandosi ed affermandosi al tempo dei Lumi per poi influenzare la morale e la politica correnti.
Molti hanno visto l’opera maistriana come la punta di lancia della Controrivoluzione. È vero soltanto in parte. La sua essenza profonda è costituita da una indagine approfondita, ma mai noiosa, della struttura del potere in relazione alla fede, alla scienza, al governo delle pubbliche amministrazioni. Il limite a cui richiama de Maistre è quello di attenersi nella conduzione degli Stati ai principi del diritto naturale e da qui nasce la sua “teologia politica” che, proprio in quanto fondata sull’intangibilità della persona, è quanto di più antitotalitario si possa immaginare. Se non ha cessato di provocare, in due secoli, discussioni e sempre – da avversari e da estimatori – è stata riguardata come “geniale”, il motivo è nella sua stringente critica all’assolutismo della Ragione nel cui segno sono stati compiuti i più orrendi misfatti dai tempi della Grande Rivoluzione ai nostri giorni.
Con uno stile brillante, piacevole, perfino ironico in molte pagine, l’autore non fa che seminare dubbi in chi ritiene che i miti intellettuali contemporanei siano indiscutibili. Eppure mai come oggi il rapporto tra scienza e fede, unitamente al fondamento del potere statuale e della legittimità delle sovranità costituiscono temi di grande spessore intorno ai quali il dibattito è quanto mai acceso.
È un peccato che de Maistre risulti espunto dalla polemica sulla libertà , l’indipendenza e l’autodeterminazione dei popoli che furoreggia di questi tempi. Una dimenticanza imperdonabile che la ripubblicazione delle Serate dovrebbe in parte colmare.
Per fortuna, nella marea del conformismo intellettuale, per quanto isolato, brilla Domenico Fisichella, uno dei maggiori politologi contemporanei, studioso apprezzato ben oltre i confini nazionali, analista del totalitarismo efficace, che di de Maistre non s’è dimenticato, non lo ha messo tra parentesi, non lo mai considerato un occasionale “incidente” nella celebrazione dei trionfi illuministici. Al conte di Chambéry, ambasciatore del re di Sardegna in Russia e Reggente della Gran Cancelleria del Regno, dedica le intense pagine del volume Sovranità e diritto naturale in Joseph de Maistre (Pagine, pp.239, 17,00 euro). In questo straordinario saggio che racconta come nessun altro in Italia il percorso formativo e l’itinerario politico-culturale di de Maistre, Fisichella ha il merito di inquadrarlo come “pensatore della crisi” e la crisi ha un nome: “rivoluzione”. Non diversamente da Edmund Burke, capofila del conservatorismo, e di altri intellettuali che si opposero al giacobinismo, de Maistre penetra nei meandri rivoluzionari individuandone le radici antimetafisiche ed i principi sovversivi che avrebbero corroso l’Europa. E ne trae la conclusione che è il cuore della sua meditazione: l’essenza nichilista della rivoluzione totalitaria è quella di “cambiare il mondo nel suo tutto, nella sua totalità”. Fisichella confuta così, con grande semplicità, il pregiudizio diffuso con successo da Isaiah Berlin secondo il quale de Maistre sarebbe stato il precursore del totalitarismo. Al contrario, Fisichella dimostra come il pensatore savoiardo abbia tenuto a sottolineare il principio regolatore del diritto naturale, affogato dai carnefici della rivoluzione nel sangue che sparsero, come elemento indiscutibile di un ordine umano che contempera la difesa della libertà riconoscendo l’autorità delle istituzioni non meno di quello morale.
Il saggio di Fisichella non è soltanto il miglior contributo alla comprensione di de Maistre, ma anche un’esegesi di ciò che de Maistre denuncia nella sua vasta opera, a cominciare dalla fine dell’Europa a cui l’autore dedica pagine che chiunque di questi tempi dovrebbe leggere. “Nonostante il suo forte travaglio interiore – scrive Fisichella -, Maistre dà ancora speranza alla sua Europa, all’Europa della Tradizione, e alla sua capacità di resistere e di reagire, temperando con equilibrio le dinamiche della storia. Muore per risorgere. L’immagine non potrebbe essere più simbolicamente appropriata per Joseph de Maistre, cattolico, europeo, italiano”.