L’infelice uscita di Laura Boldrini sul disagio provato dai cittadini di sicura fede democratica quando incrociano un monumento che richiama il fascismo andrebbe per lo meno “contestualizzata”. La questione si è posta dovunque in Europa in tempi, modi e luoghi diversi ma soltanto nelle fasi di radicale cambiamento dei regimi. Né il nostro Paese ha fatto eccezione distruggendo prima, dopo il 25 luglio 1943 e, successivamente dopo la liberazione, i simboli più grossolani e fastidiosi del Duce.
Nella stazione centrale di Milano, l’ingresso della sala d’attesa riservata alla famiglia reale è sovrastata da un grande mosaico che illustra le opere del regime e che raffigurava il re e Mussolini, il cui volto è stato completamente cancellato nei giorni dell’aprile del 45 e così è rimasto fino ai giorni nostri. Se oggi qualcuno tentasse di sfigurare il volto del re con scalpello e martello sarebbe scambiato, nella migliore delle ipotesi, per uno squilibrato cui garantire cure sanitarie. Certe cose hanno un senso se collocate nel loro contesto storico e per questo, in omaggio al buon senso, vengono generalmente accettate anche se non condivise.
Accanto alla piazza della città vecchia di Praga dove campeggia il monumento dedicato a Jan Hus, era posto, fino al 1918, un altro monumento fatto erigere da Francesco Giuseppe in memoria del generale Radetzky, il governatore del Lombardo Veneto simbolo di fedeltà all’impero austro-ungarico da parte di un cittadino non austriaco. Radetsky (peraltro pochi sanno che volle essere sepolto al cimitero monumentale di Milano) infatti era di origine boema e i suoi concittadini della neonata Repubblica Cecoslovacca, guidata da Thomas Masaryck, ritrovata l’indipendenza e la libertà dopo la prima guerra mondiale dopo decenni di dominazione soffocante degli Asburgo, fecero sparire il monumento.
Un’analoga vicenda -ma di segno diverso – si è ripetuta sempre a Praga quando il crollo dell’Unione Sovietica, e a cascata dei regimi comunisti dell’est, rese possibile lo smantellamento di un carro armato sovietico collocato su un piedistallo in quella che era appunto la “Piazza del carro armato sovietico” (che veniva indicato come il primo carro entrato nella città liberata dai nazisti da parte dell’armata rossa) e che dopo l’invasione del 1968 degli eserciti del “Patto di Varsavia” aveva assunto il significato di una tragica beffa.
Il progetto europeo rimane un obiettivo ancora largamente condiviso dai popoli del continente. Per un lungo periodo del XX secolo vi sono state enormi sofferenze per effetto delle ideologie criminogene di diversa natura che si sono diffuse in molti dei paesi che oggi, riscattata la loro libertà, costituiscono la nuova Europa. Per questo una chiave di lettura che interpreti il passato dandone un giudizio politico e morale non equivoco è necessaria. Ma costituirebbe una forma di provincialismo se fosse limitata alla lettura delle sole esperienze nazionali e non assumesse un valore comune riconoscibile da tutti i popoli europei che è l’opposizione ad ogni totalitarismo e il rifiuto delle discriminazioni.
La Germania ha una legislazione anti-nazista particolarmente severa, le leggi italiane che considerano reato il tentativo di ricostituzione “sotto qualsiasi forma” del disciolto Partito fascista ed affermano la natura penale dell’istigazione all’odio razziale e religioso, sono altrettanto punitive (se si ritiene che non abbiano funzionato in sede giudiziaria è un altro discorso). La dissoluzione del Partito comunista sovietico e dell’Urss è stata in qualche modo “governata”, i Paesi ex comunisti hanno proceduto per lo più a epurazioni negli apparati istituzionali e il vecchio regime è condannato più che da norme penali, dalla coscienza civile della popolazione. Sarebbe impossibile e sbagliato costruire una legislazione di salvaguardia della democrazia e della libertà (che dovrà pur esserci se vogliamo costruire davvero l’Europa) fatta a macchia di leopardo, conseguenza delle diverse sensibilità democratiche dei vari paesi addirittura accentuando le differenze tra gli Stati.
E’ più utile, senza dimenticare il passato – cosa che vale per tutti i popoli d’Europa – rafforzare i valori comuni in cui ci ritroviamo, che vogliamo perseguire e che daranno al futuro una solida garanzia anti-totalitaria. Richiamare oggi l’attenzione del nostro Paese su una proposta di modifica delle leggi Scelba e Mancino – richiesta legittima ma di cui non sembrano evidenti l’urgenza e la necessità – serve solo, al di là delle buone intenzioni, a distogliere l’opinione pubblica dai problemi reali.