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Cosa cambierà nella Turchia di Erdogan dopo il successo della marcia di Kilicdaroglu?

La buona notizia è che da ieri la Turchia ha un’opposizione. E non è affatto un dato scontato, visto che il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, non ne ha praticamente mai avuta una in vita sua, politica, almeno, e dal 2002 controlla il Paese come se non avesse un contraltare. Da ieri il Chp, il Partito repubblicano del Popolo, fondato da Mustafa Kemal Ataturk e di orientamento laico e repubblicano, che fino a questo momento, eccetto il 2007, non si era mai distinto in azioni plateali, sembra risorto a vita nuova.

I problemi sono due: 1) Quanto durerà, 2) quanto riuscirà a compattare le anime di chi, per un motivo o per l’altro, è avverso alla deriva autoritaria di Recep Tayyip Erdogan.

Il leader del Chp, Kemal Kilicdaroglu, ha compiuto qualcosa che si può solo definire storico. Ha camminato da Ankara a Istanbul, sotto un sole cocente, per 450 chilometri, dapprima con poche decine di persone, che nella penultima tappa sono diventate 300mila. E ha chiuso la Adalet yürüyüşü, la marcia per la Giustizia, portando in piazza almeno un milione e mezzo di persone.

Un’impresa su cui in pochi erano pronti a scommettere, ma che ha avuto un alleato essenziale: l’esasperazione di una parte del popolo turco nei confronti della deriva autoritaria di Erdogan, divenuta tanto più marcata dopo la contestata vittoria al referendum costituzionale dello scorso 16 aprile e che gli ha garantito poteri pressoché assoluti.

Dunque Kilicdaroglu ha fatto praticamente un miracolo. Ma quanto durerà? Di certo, un merito gli va riconosciuto: quello di aver risvegliato la società civile turca che da Gezi Parki in poi, anche per motivi comprensibili, come la mancanza crescente di diritti fondamentali e la repressione incalzante, dormiva un po’ il sonno dei giusti.

Alla manifestazione hanno aderito anche gruppi di curdi e di associazioni femministe. Un punto a favore del Gandhi della politica turca, come i quotidiani locali ribattezzarono Kilicdaroglu qualche anno fa. Ma questo porta in sé un problema. Come si coniugano queste istanze con il carattere orgogliosamente nazionalista e certo non propenso a concedere autonomia regionali del Chp? Riuscirà a trovare un minimo denominatore all’interno della società turca su quello che un ostacolo insormontabile, ossia la questione curda? Come si traduce, politicamente, questo grande successo dal valore simbolico altissimo?

La risposta potrà darcela solo il futuro, nei limiti di azione, scarsissimi, previsti dalla nuova costituzionale. A meno che non vi siano movimenti epocali. Kilicdaroglu ha promesso che quello di ieri è solo l’inizio e che la Turchia vuole tornare alla democrazia parlamentare. La risposta della gente è stata importantissima. Una contrapposizione ulteriore però potrebbe portare il caos nel Paese e la lotta fra bande.

Ma il referendum è stato votato e a fronte delle persone che ieri erano in piazza, c’è da contrapporre lo sterminato e molto più compatto elettorato di Erdogan.

Il rischio, è che quello di Kilicdaroglu si trasformi in fuoco fatuo, bellissimo, abbagliante, quanto destinato a rappresentare una meteora. In caso contrario, potrebbe essere la svolta che la vita politica e civile turca aspetta da tempo.


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