Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, è uno dei pochi giornalisti italiani rimasto a difendere coloro che “fecero il gran rifiuto”. Quelle Ong, con alla testa “Medici senza frontiere” che hanno deciso di fermare le loro navi, dedite al salvataggio in mare, nei porti italiani. Spiazzato dalla recente decisione della Cei, comprensiva rispetto alle ragioni dello Stato Italiano (Minniti, Gentiloni, Mattarella), insiste, comunque, nella retorica dell’accoglienza “senza se e senza ma”. Pena “la resa della civiltà”: sobrio titolo del suo ultimo editoriale.
La linea di comando è quella del gruppo dirigente del giornale: Calabresi e Mauro. Non a caso citati nello stesso articolo nelle loro più recenti invocazioni. “L’onda melmosa” del risentimento social- xenofobo, secondo Mario Calabresi. Il codice di condotta per le Ong, voluto dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, che le condannava all’“inversione morale” secondo Ezio Mauro. Per non parlare della dura polemica contro Ernesto Galli della Loggia: reo di aver difeso l’operato del Governo.
Non sapendo come motivare razionalmente la propria posizione, questa volta la colpa è della Libia. O meglio del “premier-fantoccio Al Serraj” di quel Paese. Colpevole di aver respinto le navi delle Ong e di aver introdotto “un pizzo”: “45/60 mila euro per ogni gommone di profughi lasciato salvare”. Accusa, per lo meno, scivolosa. A dimostrazione che sulla testa degli immigrati si svolge un vero e proprio business, in cui ciascuno trova la sua convenienza. Cosa ben nota, del resto, per tutti coloro che l’Africa la conoscono non solo per sentito dire.
La soluzione proposta, seppure in modo approssimativo, è quella di una regolazione del traffico: il cosiddetto “decreto flussi” fermo tuttavia al 2010. Vale a dire un’immigrazione controllata. Si può essere in dissenso? Assolutamente no. L’Italia e l’Europa hanno bisogno di questo tipo di mano d’opera: si pensi solo alle badanti o agli addetti in agricoltura. Ma per realizzare quest’obiettivo occorre, prima di ogni altra cosa, superare l’emergenza. Ossia impedire l’arrivo irregolare di migliaia di migranti. La cui presenza non farebbe altro che impedire qualsiasi ipotesi di programmazione. Cosa non difficile da comprendere.
Giannini lamenta il fatto che, per arginare i flussi, il Mediterraneo si sarebbe trasformato in un “deterrente”. Cosa dovrebbe essere, allora, un confine, per giunta naturale, la porta girevole di un grande hotel. Certo: è “gente che fugge da guerre (una minoranza da proteggere ndr), torture e miserie”. Ma in Italia vengono a star meglio? Senza andare in giro per le campagne, basta recarsi in una spiaggia qualsiasi. Centinaia di “vu comprá” carichi come bestie da soma, costretti ad un moto perpetuo sotto il sole infuocato per vendere qualche cianfrusaglia. Per poi accasciarsi, stanchi, in qualche anfratto.
Che Giannini si faccia un giro le le strade consolari di qualsiasi regione. Vedrà un affollamento di ragazzine dalla pelle nera costrette a prostituirsi. Questa è l’accoglienza che riusciamo a dare. Senza voler parlare dei cosiddetti centri di assistenza. Finiamola quindi con la retorica delle braccia aperte. L’Italia non se lo può permettere a causa di una crisi economica e sociale tutt’altro che risolta. Con un tasso di crescita molto più basso rispetto ai Paesi da cui ha origine il flusso dei migranti. Non è, quindi, il bengodi promesso dai mercanti di uomini. Sarebbe bene averne contezza, per evitare il diffondersi di quelle fake news che sono all’origine di un traffico milionario.