Passano i decenni, ma si finisce sempre lì. Quando i governi di centrosinistra sono stati costretti ad affrontare temi connessi alla sicurezza come il ruolo delle Forze armate in alcune missioni internazionali o l’immigrazione, la compatezza ha retto fino a un certo punto. Oggi l’anima securitaria incarnata da Marco Minniti si scontra con quella cattolico-democratica di altri esponenti del Pd e del governo, quelli che una volta erano chiamati “cattocomunisti” e che un comunista vecchio stampo come Massimo D’Alema vedeva come fumo negli occhi.
Minniti viene dalla stessa scuola di partito e di governo di D’Alema e da quando è al Viminale tra le tante sfide ha lanciato quella che a molti è sembrata una bestemmia culturale: “La sicurezza è di sinistra”. “Ma come? Un comunista che si appropria di un tema da sempre caro alla destra?” hanno pensato alzando un sopracciglio molti esponenti di una sinistra dura, pura e anacronistica, “quella sinistra radical-chic che vuole insegnare come si affronta l’accoglienza dei profughi stando seduta in pantofole in salotto” la definisce il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini (Pd).
Mentre i flussi migratori aumentavano a dismisura nei primi sei mesi di quest’anno la preoccupazione era bipartisan e le numerose e utilissime audizioni parlamentari hanno insegnato ai politici, a molti giornalisti e all’opinione pubblica quanto sia complesso il tema dell’immigrazione, che contiene politica interna, politica estera, rispetto di convenzioni internazionali e, anche se molti fanno finta di non capirlo, una gestione dell’accoglienza che può trasformarsi in gestione dell’ordine pubblico da un giorno all’altro.
Ora i flussi stanno calando (all’8 agosto meno 3,47 per cento rispetto all’anno scorso) per l’impegno della Guardia costiera libica e la definizione del codice di condotta per le Ong sembrava aver messo un punto fermo. E invece ecco, puntuale, lo scontro “culturale” a sinistra: nel dibattito di questi giorni la punta dell’iceberg è rappresentata dal ministro Graziano Delrio (origini dc vicine al pensiero di Giorgio La Pira) e dal viceministro Mario Giro (da 40 anni nella Comunità di Sant’Egidio), ma sott’acqua l’iceberg è grande né la blindatura di Minniti da parte del Quirinale può cancellare i mal di pancia.
Non è un mistero che la posizione dei cattolici di sinistra sia condivisa dal Vaticano che il giorno dopo la “vittoria” di Minniti ha messo in campo tutta la sua potenza mediatica: il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, (nella foto), che considera le armi a bordo delle navi Ong “un precedente pericoloso” pur convinto che i poliziotti “si comporterebbero in modo esemplare”; l’Osservatore Romano con un’intervista a padre Fabio Baggio del dicastero per lo Sviluppo umano integrale, favorevole a “vie di accesso legali e sicure” e contrario alle “politiche restrittive”; la Caritas italiana, il cui responsabile dell’ufficio immigrazione, Oliviero Forti, sostiene che il salvataggio deve prevalere sui codici di condotta ed è contrario alle armi a bordo, anche lui evidentemente convinto che le indagini della polizia giudiziaria equivalgano al far west; il Centro Astalli, Servizio dei Gesuiti per i rifugiati, il cui presidente, padre Camillo Ripamonti, sostiene che il codice dovrebbe servire a migliorare i salvataggi e non a distinguere i buoni dai cattivi.
A quanto pare, una mentalità politica non può cambiare alla stessa velocità della Storia. Quella che negli anni Novanta era chiamata emergenza immigrazione, pur con il dramma dei Balcani, era una bazzecola rispetto a un continente come l’Africa che si muove in direzione dell’Europa. Bisogna fermarli aiutandoli lì, ma nel frattempo? Nel frattempo il Partito democratico, coacervo di culture diverse che restano tali anche dopo la scissione, guida un governo con opinioni opposte sul da farsi anche perché poco avvezzo a ritrovarsi uno col caratterino di Minniti al Viminale. Che in Libia debbano intervenire l’Unhcr e l’Oim per una gestione corretta dei campi profughi lo dicono tutti, a cominciare dallo stesso ministro dell’Interno, ma sostenere (come ha fatto Giro) che non si debbano fermare e riportare i migranti sulla costa libica perché le condizioni dei campi profughi non sono adeguate significa di fatto sostenere che l’Italia e l’Europa dovrebbero accogliere tutti, anche i cosiddetti migranti economici, quando questo è escluso sia da organismi internazionali sia dalle politiche di ciascuno Stato europeo a cominciare dall’Italia.
È una posizione no global e terzomondista (definizione che infastidisce Delrio) che rifiuta il cambiamento in atto in Europa e nella società italiana. La verità è scomoda: gli italiani che a casa o sotto l’ombrellone leggono o ascoltano notizie su navi, Libia e Ong in realtà pensano soltanto agli immigrati ospitati provvisoriamente nelle loro città dove restano anni prima di essere rimpatriati. Purtroppo gli episodi preoccupanti aumentano: il caso della pattuglia di militari dell’Esercito circondata a Napoli da extracomunitari che volevano impedire il fermo di un immigrato ha scatenato la protesta dei residenti esasperati; alla stazione centrale di Milano la polizia effettua da mesi periodici blitz perché quell’area è una bomba con la miccia perennemente accesa. Porre un freno all’immigrazione illegale è necessario proprio per questo, porre dei limiti alle Ong che non vogliono rispettare regole certe è sacrosanto, voler aprire i porti e le città a chiunque significa solo negare l’evidenza.