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Tim, ecco chi spinge (e chi frena) sulla fusione rete Telecom e Open Fiber

Di Fernando Pineda e Gianluca Zapponini

Tutti d’accordo, o quasi, sulla rete Tim. Una rete, quella in rame, che molti spingono affinché sia unita a quella in fibra ottica in cantiere di Open Fiber, società di Enel e Cdp. Matteo Renzi ha esplicitamente auspicato un intervento della Cassa depositi e prestiti. Tim di Vivendi ha un piano per scorporare la rete (ipotesi evocata anche dal ministro Piercarlo Padoan) e quotarla per deconsolidare anche la zavorra del debito. E Open Fiber indica due scenari sulla rete. Ma Cdp, azionista di Open Fiber con Enel, nicchia. Ecco le ultime novità, a partire da una intervista di Franco Bassanini, presidente di Open Fiber.

A CHI LA RETE TIM? A NOI (DI OPEN FIBER)

Il tema della separazione della rete è stato rilanciato ieri da un’intervista del quotidiano La Stampa al presidente di Open Fiber Franco Bassanini. Per Bassanini se si vuole mettere mano alla rete le opzioni sono essenzialmente due: o conferire tutto a Open Fiber oppure staccare l’infrastruttura dalla casa madre, come è avvenuto in passato nel gas e nell’energia, e quindi lasciare che le due società si facciano concorrenza: “La prima strada prevede che gli azionisti di Tim decidano che conviene a tutti, non solo al Paese ma anche a loro, liberarsi della rete, che comporta oggi investimenti molto costosi. Open Fiber, o i suoi azionisti, sono in questo caso ben posizionati per acquisire la rete Telecom, potendo sfruttare al meglio le sinergie tra le due reti e accelerare la migrazione di tutti dal rame alla fibra, con vantaggi importanti anche per i clienti finali”. E l’altra strada?

LA SECONDA STRADA

L’alternativa al passaggio della rete in rame a Open Fiber è semplicemente pura e sana concorrenza. Chi riuscirà ad accumulare più cablaggio avrà vinto la partita. “Continuerà la competizione infrastrutturale e vincerà il migliore”, ha sentenziato Bassanini. A meno che  “le istituzioni non decidano di imporre la separazione societaria della rete come ora in Gran Bretagna. La separazione societaria riduce i rischi di abuso di posizione dominante, e la competizione infrastrutturale continuerebbe tra due società whole sale only. Sarebbe più facile anche arrivare a qualche forma di accordo o di integrazione, che eviti la duplicazione di infrastrutture e consenta di accelerare la costruzione della rete di nuova generazione”.

LE APERTURE DI VIVENDI

D’altronde le parole del ceo di Vivendi, Arnaud De Puyfontaine, presidente di Tim, non hanno lasciato spazio a dubbi. Infatti il manager francese non ha chiuso a una società unica (pubblico-privata) sulla rete fissa, anzi, come ha detto il presidente agli analisti e come ribadito negli scorsi giorni al quotidiano La Stampa: sono “disponibile, nel rispetto del governo, a una discussione aperta”, ha detto De Puyfontaine. Le attese del gruppo che fa capo al finanziere Vincent Bolloré sono fisiologiche, vista anche la discesa in campo di Open Fiber, la società di Enel e Cassa depositi e prestiti che vuole posare la fibra ottica in tutt’Italia. Un’operazione che – come ha scritto il Sole 24 Ore – “rischia di intaccare in tempi rapidi lo zoccolo duro dei clienti di rete fissa che alimenta la redditività di Telecom”. Già dal primo trimestre del prossimo anno, secondo Laura Serafini del Sole, “si potrebbe assistere a un’importante migrazione di clienti da Telecom ai concorrenti che hanno stretto accordi commerciali con Open Fiber” che si potrebbe tradurre in “un’erosione consistente dell’ebitda di Tim fino a una flessione di 600-700 milioni già nel primo semestre del prossimo anno”.

LE PAROLE DI RENZI E PADOAN

Per questo c’è chi, come il segretario del Pd, Matteo Renzi, ha di fatto auspicato un potenziale intervento della Cassa depositi e prestiti presieduta da Claudio Costamagna e guidata dall’ad, Fabio Gallia, sulla rete fissa di Tim: Renzi ha invocato un “ragionamento attorno a Cassa depositi e prestiti sulla rete, perché la rete è un asset fondamentale per il futuro del Paese”. E pure il titolare del Tesoro, Piercarlo Padoan, pur non essendo per nulla in sintonia con Renzi su molti dossier, ha detto negli scorsi giorni: “Lo scorporo della rete dalla fornitura dei servizi è un discorso molto generale e noto: è una configurazione che aumenta l’efficienza e la competizione, va applicato dove possibile”.

SE LA RETE TELECOM NON SCALDA CDP

Eppure la rete Telecom non sembra intrigare più di tanto la Cassa Depositi e Prestiti azionista al 50% di Open Fiber. La prova è in una recente intervista al Corriere di Fabio Gallia e Claudio Costamagna, rispettivamente amministratore delegato e presidente della Cassa, controllata dal ministero dell’Economia. Davvero non prenderete mai la rete di Telecom?, è stata la domanda del quotidiano. Risposta del presidente di Cdp: “Noi siamo presenti attraverso Metroweb in Open Fiber. Gli investimenti nella banda larga sarebbero andati molto più a rilento senza di noi. Open Fiber ha vinto tutte le gare indette dallo Stato”. Come dire: alla Cassa non interessa un asset obsoleto tecnologicamente di una società quotata, noi stiamo realizzando la rete in fibra ottica che farà dell’Italia un Paese al passo sulla banda larga. Non proprio sulla stessa lunghezza d’onda di Bassanini, già presidente di Cdp prima di Costamagna.

LA MOSSA DI BOLLORE’

In effetti il patron di Vivendi, azionista al 24% di Telecom, Vincent Bolloré, allo scorporo della rete ci sta pensando per davvero. Per un motivo molto semplice, come ha scritto Business Insider Italia diretto da Giovanni Pons: 25 miliardi di debiti (tale è lo stock in pancia a Telecom) sono tanti. E valorizzare in qualche modo una rete in rame da 15 miliardi può tornare utile. L’operazione a cui sta pensando Bolloré prevede uni scorporo puro della rete in una società ad hoc ma con Tim che mantiene la quota di maggioranza e dunque continua a consolidarla nei suoi bilanci. Il valore della rete Telecom si aggira intorno ai 15 miliardi ma messa sul mercato e quotata in Borsa potrebbe sprigionare valori più alti, come succede in tutti i casi di spin off, grazie alla sua presenza capillare sul territorio italiano: “Un 30% collocato in Borsa presso investitori istituzionali e anche al dettaglio – ha scritto Business Insider – porterebbe nelle casse della società tra 4 e 5 miliardi, soldi freschi che andrebbero ad abbattere il debito di Tim fin sotto i 20 miliardi, liberando flessibilità di gestione e spazio per eventuali nuove acquisizioni”

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