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Fca, ecco come Trump può mettere i bastoni fra le ruote ai cinesi di Great Wall

La scalata dei cinesi di Great Wall in casa FCA per acquistare Jeep potrebbe essere più in salita del previsto. Come rivelato dalla rivista specializzata Automotive News, prima di mettere le mani sulla punta di diamante dell’azienda guidata da Sergio Marchionne (nella foto), gli acquirenti cinesi dovranno passare il vaglio dell’amministrazione Trump.

Per quanto FCA sia incorporata in Olanda e abbia i suoi quartier generali nel Regno Unito, un’operazione del genere peserebbe non poco sul mercato americano: per questo prima di andare in porto deve essere sottoposta ad una revisione da parte del governo statunitense per assicurare di non ledere la sicurezza nazionale.

Ad occuparsene sarà il Comitato per gli Investimenti Esteri del Dipartimento del Tesoro guidato da Steve Mnuchin, un organo che opera sotto la sezione 721 del Defens Production Act del 1950, potenziato con una serie di emendamenti sotto la seconda presidenza di George Bush e la prima di Barack Obama.

L’acquisizione di Jeep da parte di Great Wall non sembrerebbe costituire una minaccia diretta alla difesa e alla sicurezza nazionale. Ma il Dipartimento americano per la Sicurezza Nazionale negli ultimi anni ha ampliato notevolmente la lista dei “settori infrastrutturali critici” per la sicurezza dei cittadini statunitensi.

Sono ben 16 le fattispecie individuate dal ministero: dal settore chimico al manifatturiero, dai servizi finanziari ai trasporti, dalla difesa all’agroalimentare passando per i reattori nucleari e il settore energetico. Nel caso specifico dell’automobilistico, la Casa Bianca potrebbe temere che alcune tecnologie e brevetti americani, è il caso dei microchips o dei piloti automatici, possano finire nelle mani sbagliate ed essere venduti a settori militari stranieri.

Mentre le lancette dell’orologio di Fca ticchettano in vista del ritiro di Marchionne nel 2019, l’affare con i cinesi potrebbe avere tempi lunghi. Il comitato per gli investimenti esteri entra in azione volontariamente, senza alcuna sollecitazione delle parti in causa, che anzi vengono avvisate a indagini in corso.

Una prima deliberazione del comitato arriva solo dopo 30 giorni dall’inizio della revisione. Qualora siano riscontrati rischi per la sicurezza nazionale, ha inizio una fase investigativa che si prolunga per 45 giorni. Nel raro caso in cui il comitato non giunga a una deliberazione, il dossier finisce sul tavolo del presidente degli Stati Uniti, che ha 15 giorni per decidere.

Difatti il “Foreign Investment and National Security Act” da all’inquilino della Casa Bianca un potere di veto verso le transazioni commerciali estere ritenute pericolose per la sicurezza nazionale.

Ad oggi è accaduto solo due volte: nel 1990 con George Bush padre, quando intimò all’agenzia governativa cinese Catic, specializzata in dispositivi militari come elicotteri ed esplosivi, di fare un passo indietro dall’acquisto della Mamco Manufacturing Company di Seattle. Più recentemente, nel 2012, fu il presidente Barack Obama a porre il veto sulla costruzione di turbine eoliche in Oregon da parte di un’azienda privata cinese, la Ralls Corp.

Poiché Great Wall ha un valore di mercato (18.1 miliardi di dollari) e cash netto (400 milioni di dollari) nettamente insufficienti per acquistare da sola il gruppo FCA, non è escluso che possa chiedere aiuto al governo cinese. Il che trasformerebbe il veto della Casa Bianca alla transazione in uno schiaffo diretto a Pechino.

In un momento in cui il Congresso preme per il pugno duro con il Dragone, e il governo americano prepara pacchetti di sanzioni contro la violazione dei diritti di proprietà intellettuale e le aziende cinesi che fanno affari con la Corea del Nord, le possibilità che il ministero del Tesoro non applichi una definizione estensiva di “minaccia alla sicurezza nazionale” sono molto basse.

Come svelato in esclusiva il 27 agosto dall’agenzia Axios, nella prima settimana del generale Kelly alla Casa Bianca ci sarebbe stato un meeting di fuoco sul commercio cinese nello Studio Ovale fra Trump e i suoi collaboratori. Presenti insieme a Kelly il rappresentante per il commercio Robert Lightizer, il consigliere Peter Navarro, il capo consigliere economico ed ex n. 1 di Goldman Sachs Gary Cohn e l’allora capo stratega Steve Bannon.

“Voglio le tariffe, datemi le tariffe!” urlava Trump su tutte le furie. Poi riferendosi al neo-arrivato Kelly: “John non hai mai partecipato a una discussione sul commercio prima d’ora, perciò voglio scambiare le mie idee con te. Nei sei mesi scorsi, questo stesso gruppo di geni viene qui tutto il tempo e io dico loro “Tariffe, voglio le tariffe”. E loro cosa fanno? Mi danno i diritti intellettuali. Non posso mettere una tariffa sui diritti intellettuali”. Per poi aggiungere: “la Cina sta ridendo di noi”.

Anche adesso che Gary Cohn e la sua linea moderata con Pechino hanno preso terreno nella Casa Bianca mentre Steve Bannon è fuori, Trump non sembra aver cambiato idea sull’apertura agli investimenti cinesi. Per questo la scalata di Great Wall in FCA potrebbe essere molto più ripida del previsto.


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