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Brugnaro, Gori, Nardella e la frustrazione dei sindaci al meeting di Rimini

Dopo aver discorso di Europa con Enrico Letta e Antonio Tajani, martedì al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione è stata la volta degli amministratori locali. Sette sindaci seduti attorno a un tavolo per raccontare la loro esperienza alle prese con le priorità del momento, dall’emergenza demografica tutta italiana alla questione sicurezza, passando per il lavoro e l’immigrazione.

“Ringrazio il meeting che da qualche anno ha acceso i riflettori sulle città e sui sindaci”. A parlare è Dario Nardella (nella foto), sindaco di Firenze targato Pd succeduto all’amico Matteo Renzi nel 2014. Alla sua ottava presenza alla kermesse romagnola, Nardella è divenuto suo malgrado il protagonista della giornata insieme al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Dopo che il forzista veneto, presente all’incontro, ha garantito che, qualora nella sua città un uomo corresse in una piazza urlando Allah Akbar (Allah è grande), verrebbe “abbattuto dai cecchini dopo tre passi”, Nardella ha avvicinato il collega all’uscita urlando in tono di scherzo l’esclamazione in arabo.

Il tutto è stato ripreso in un video pubblicato da Repubblica, e come al solito il web non ha perdonato. Da Giorgia Meloni, che definisce il sindaco fiorentino “un imbecille”, a Matteo Salvini fino a Tommaso Grassi di SI, per tutto il pomeriggio sono piovute le polemiche su Nardella, tanto da costringerlo a correre ai ripari. “Non era mia intenzione offendere alcuna persona, né tanto meno la comunità musulmana né scherzare sulla sua religione, né evocare i tragici fatti di questi giorni”, si legge in un suo post su facebook.

Scivolone a parte, il seminario si è svolto con toni più pacati. C’è una sola voce fuori dal coro, quella di Luigi Brugnaro. Imprenditore, tanto che ancora oggi si sente “più di Confindustria che sindaco”, unico sindaco di centrodestra fra i presenti, ha vinto l’applausometro anche grazie a una serie di espressioni di colore. “Ho deciso di venire qui anche se sono in netta minoranza” ha scherzato, per poi lamentare l’operato del governo a partire dalla gestione della crisi migratoria.

A suo dire non è abbastanza controllare le ong, bisogna invece “incominciare a presidiare i nostri confini con un blocco navale umanitario, perfino in Zambia ti chiedono il passaporto per entrare”. Sullo ius soli il giudizio è anche più netto: “se lo scriviamo così come è scritto non va bene, non è giusto che uno diventi cittadino italiano se non fa giuramento sulla Costituzione”.

A vivere in prima linea l’urgenza dell’integrazione c’è Matteo Biffoni, sindaco di Prato. Su un totale di circa 192000 abitanti sono 36.400 i cittadini stranieri residenti (dati Istat del luglio 2017) nella città toscana, di cui 18954 cinesi. Numeri che non scoraggiano il sindaco: “Vi risparmio la discussione sullo ius soli, sono tra i più favorevoli a introdurre questo sistema”.

Un’altra emergenza cui i comuni italiani devono far fronte è il calo demografico. Anche qui è l’Istat a dimostrarlo: nel 2016, il saldo naturale della popolazione italiana è in rosso come non lo è mai stato negli ultimi decenni, -141823. Il drastico calo della natalità è legato a doppio filo alla diminuzione delle famiglie: si formano sempre più tardi, e sono nuclei sempre più piccoli, con un numero medio di componenti di 2.32 persone.

“Come possiamo essere tranquilli e sereni se non abbiamo una strategia chiara sulla natalità e su come giovani coppie possano trovare strumenti ideali per poter costruire le famiglie?” si chiede Nardella, che ammette a malincuore: “l’anno scorso a Firenze il numero di separazioni e divorzi per la prima volta nella storia ha superato il numero di matrimoni, dobbiamo interrogarci sulla nostra società, sempre più materialista e individualista”.

“Questi dati ci raccontano un’Italia fragile e in deficit di speranza” commenta il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Eppure la sua città costituisce un unicum nella desolazione demografica che affligge gli altri comuni: “nel 2016 a Bergamo il saldo naturale è stato di 477 persone in meno, ma il saldo demografico è positivo, siamo riusciti a invertire la tendenza, per la prima volta la città comincia a crescere in 4 anni”.

Secondo Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e vice-presidente dell’ANCI, quel che spaventa le giovani coppie della vita famigliare è soprattutto la mancanza di prospettive lavorative. Ricci non nasconde la frustrazione dovuta alla mancanza di risorse: “nel 2000 i sindaci avevano molti più soldi da spendere. Tutti i giorni entro in comune cercando di capire cosa si può fare dal basso per creare nuovi posti di lavoro”. Poi l’attacco al reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, non sull’assistenzialismo, vedo troppe teorie del genere in giro”.

Andrea Gnassi, sindaco di Rimini dal 2011 e dunque padrone di casa nella convention di CL, punta invece il dito contro l’ipetrofica burocrazia statale tipicamente italiana. “In Francia a fronte di uno Stato centrale forte ci sono le autonomie dei municipi, in Germania ci sono i lander, mentre in Italia abbiamo una sovrapposizione di piani, norme, legislazioni”.

Rimini, che pure Il Sole 24 Ore ha inserito nel 2016 al 33° posto nella classifica dei comuni italiani basata sulla qualità della vita, ha chiuso il 2016 con un saldo naturale negativo (-312) e un numero medio di componenti per famiglia di 2.25. Sul il rilancio dell’occupazione, secondo il sindaco romagnolo, pesa la lentezza della macchina burocratica: “quando tentiamo di fare presto per sviluppare un progetto di sviluppo aziendale, convochiamo la conferenza di servizi, alle quale partecipano 30 persone, ognuna delle quali deve legiferare”.


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