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Vi spiego come e perché la Corte dei Conti ha promosso l’Italia sugli F-35. Parla il generale Tricarico

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Mi pare che il caldo di questi giorni abbia provocato un colpo di sole collettivo alla maggior parte dei media italiani“. L’ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare, il generale Leonardo Tricarico, non ha dubbi: la relazione con cui la sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali della Corte dei Conti si è pronunciata sulla nostra partecipazione al programma Joint Strike Fighter per la realizzazione di 90 F-35 non è negativa come, invece, l’hanno descritta i principali quotidiani italiani (qui l’approfondimento di Formiche.net). Anzi – ha sottolineato ancora Tricarico, che oggi ricopre il ruolo il presidente della Fondazione Icsa (think tank attivo sui temi della sicurezza, della difesa e dell’intelligence) – nella pronuncia dei giudici contabili sono ravvisabili numerosi elementi positivi sul progetto cui anche il nostro Paese ha aderito.

Generale, la Corte dei Conti ha però denunciato un incremento dei costi. Qual è la situazione?

C’è stato un aumento che riguarda la fase di sviluppo. I costi in più, però, sono totalmente a carico degli Stati Uniti. Quindi il nostro Paese non sarà in alcun modo toccato da questo incremento: d’altronde era già stato previsto in fase di impostazione del progetto che sarebbe spettato agli Usa. Ma c’è un altro elemento da sottolineare: che i costi nel corso del tempo sono destinati a diminuire.

In che senso?

Il numero di velivoli di prevista produzione – poco più di tremila – consente di mettere a punto strada facendo un know how che consente di ridurre i costi. Se oggi per fare un’ala ci vogliono tot ore di lavoro, domani ne occorreranno di meno. Questo meccanismo, ovviamente, inciderà in modo positivo sulle spese.

Ma i costi aumenteranno o diminuiranno?

Mi spiego. L’F-35 ha totalizzato più di 100mila ore di volo ed è ancora in corso la fase di sviluppo. Prima le cose andavano diversamente: si sviluppava l’aeroplano e poi alla fine si procedeva alla costruzione. Oggi, invece, le due fasi sono parzialmente sovrapposte: mentre l’aeroplano vola, si continua a svilupparlo. Per la fase di sviluppo gli Stati Uniti si sono fatti carico degli incrementi dei costi, mentre dal punto di vista della realizzazione effettiva si va verso una compressione delle spese in virtù del know how acquisito nel corso dei lavori.

Rispetto ad altri caccia gli F-35 del programma Joint Strike Fighter sono più o meno cari?

Prendo ad esempio gli Eurofighter: i costi sono molto simili, praticamente gli stessi. Peccato, però, che gli l’F-35 siano infinitamente più capaci.

Parliamo delle ricadute occupazionali del progetto sottolineate pure dalla Corte dei Conti. Di che numeri si tratta?

Inizialmente si era parlato di 10.000 posti di lavoro per l’industria italiana. Non solo a Cameri in Piemonte, ma più o meno in tutto il Paese: penso ad esempio a Foligno in Umbria o alla Campania. Sono i contratti che circa ottanta grandi e medie imprese italiane sono riuscite ad aggiudicarsi con la capo commessa, la Lockheed Martin, per alcune lavorazioni dell’F-35.

Dalle stime iniziali il numero di occupati quanto si è ridotto?

In modo non irrilevante, va riconosciuto. Ma è per via della decisione di ridurre il numero di velivoli dai 131 iniziali ai 90 di oggi. In virtù dell’accordo iniziale, l’Italia aveva avuto come commessa a Cameri la costruzione di 1.215 tronconi alari. Quando poi l’allora presidente del Consiglio Mario Monti e il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola decisero di ridurre il numero dei velivoli, le ali da costruire sono diventate 835. Con un pari decremento anche sotto il profilo dell’occupazione.

La Corte dei Conti ha sottolineato pure il valore economico del programma. Quali saranno i benefici per il nostro Paese?

PricewaterhouseCoopers ha valutato in più di 15 miliardi il ritorno per l’Italia in termini di contratti stipulati dalle nostre imprese e di indotto. Una stima tuttora valida, a fronte di un impegno di 18 miliardi. Ma quei 15 miliardi possono solo aumentare: noi abbiamo in Italia l’unico centro di manutenzione, riparazione e upgrade in Europa. Solo gli inglesi hanno fatto qualcosa in questo senso, ma noi siamo nettamente di fronte.

I nuovi F-35 andranno a sostituire alcuni degli attuali velivoli che la Corte dei Conti ha definito obsoleti. E’ così?

Forse non li avrei definiti obsoleti, ma non aggiornati ai tempi. Questi F-35, però, sono un’altra cosa, un altro livello: basterebbe chiedere a un pilota che già ci vola per rendersene conto.

Ultima domanda: questo programma come consentirà al nostro Paese di fare un passo un salto in avanti anche sotto il profilo della tecnologia utilizzata?

Il mondo militare e aeronautico si sta adoperando dall’inizio affinché il trasferimento di tecnologia sia il più cospicuo possibile. Ci stiamo lavorando. Naturalmente parlare ad una voce sola con tutti gli altri Paesi interessati aiuta. Ma è sicuro che ci sarà: voglio dire che le lavorazioni si fanno a Cameri, il velivolo viene assemblato lì. Un po’ alla volta gli operatori riusciranno a mettere nel loro bagaglio personale.

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