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L’Arabia Saudita blocca un piano terroristico e scopre un covo di spie

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Lunedì le autorità saudite hanno fatto sapere di aver sventato un attentato contro due edifici del ministero della Difesa a Riad. L’attacco, definito “suicida” (perché sono state scoperte cinture esplosive), era in preparazione da parte di due “attentatori yemeniti” dello Stato islamico.

L’OPERAZIONE COUNTER-TERROR DI MBS

Si tratta della prima importante operazione del neonato direttorato per la Sicurezza nazionale, entità che bypassa il ministero degli Interni ed è guidata dal principe ereditario Mohammed bin Salman (anche MbS), e pure per questo la vicenda ha preso molta spinta mediatica. A Riad due mesi fa c’è stata una modifica nella linea dinastica che ha portato MbS a sostituire il cugino come erede al trono: uno spostamento che ha creato scombussolamenti interni che necessitano di adeguata propaganda per creare l’adeguato consenso. Mohammed bin Salman è considerato il deus ex machina della linea politica che l’Arabia Saudita sta prendendo, sia per ciò che concerne i cambiamenti interni (la cosiddetta “Vision 2030”, con cui Riad vuole ricostruire il proprio sistema economico statale), sia per quel che riguarda le posture assunte su vari dossier di politica estera. Due esempi: è stato per volontà di MbS che l’Arabia Saudita ha magnetizzato attorno a sé la coalizione militare che ha iniziato la campagna armata contro i ribelli in Yemen; ed è sempre per volontà del giovane erede (che ha sfruttato la sponda di altri discendenti della nuova generazione del Golfo, come quello emiratino, allineati con lui) che i sauditi si sono fatti promotori del blocco di nazioni che ha voluto l’isolamento diplomatico del Qatar, reo di collusioni con il mondo terroristico. Inoltre MbS, già ministro della Difesa, ha scommesso molto sulla sfera militare, puntando a rendere ancora più centrale la posizione di Riad in Medio Oriente proponendosi come collante per la cosiddetta Nato Araba.

IL FRONTE YEMENITA

Secondo la statement ufficiale i due attentatori arrestati lunedì vivevano a Riad sotto false identità, facilitati da alcuni collegamenti locali. Come ha detto anche il coordinatore dell’antiterrorismo europeo, Gilles de Kerkove, “il Califfato fisico è morto”, ma questo non significa che i combattenti rimasti tra Iraq e Siria non possano spostarsi in altre aree di crisi, come – dice de Kerkove –lo Yemen (o la Libia) per creare organizzazioni che combattono una guerriglia terroristica coloro che vedono come nemici ideologici. In Yemen – uno stato che Riad considera un proprio satellite – la campagna militare lanciata dai sauditi per riportare il governo di Sanaa al potere dopo la ribellione degli Houthi (una milizia filo-sciita) ha prodotto come conseguenza il rafforzamento del fronte sunnita radicale. Al Qaeda, che nel paese ha la filiale più potente e operativa, ha aumentato il territorio di controllo nel centro-sud, sfruttando le attenzioni riversate da Riad e soci sulla fascia occidentale del paese. E nel frattempo hanno attecchito le istanze dello Stato islamico. I gruppi radicali sunniti, che detestano il regno saudita perché lo considerano guidato da traditori che hanno sfregiato il vero Islam colludendosi con l’Occidente, hanno preso potere anche sfruttando la frustrazione della gente del posto. L’intervento militare saudita infatti non solo non ha riportato nessun risultato dopo mesi e mesi, ma anzi, ha prodotto oltre 8000 civili uccisi e quasi 50mila feriti, colpiti dalle bombe sganciate dagli ultra tecnologici jet made in USA dell’aviazione saudita (o emiratina) – Human Rights Watch ha definito i raid aerei indiscriminati di Riad un “crimine di guerra”.

E QUELLO IRANIANO

Sempre lunedì, dice l’agenzia di stampa statale Saudi Press Agency, lo stesso ufficio per la sicurezza nazionale guidato da MbS ha anche scoperto un covo di spie straniere a Riad. SPA, in termini vaghi, ha descritto la cellula composta da “sauditi e stranieri” che volevano “suscitare sedizione e pregiudicare l’unità nazionale”. Le spie lavoravano “a beneficio di governi stranieri contro la sicurezza del regno e dei suoi interessi”. Di solito questo genere di semantica è usata in riferimento all’Iran, grande nemico politico-regionale e ideologico-esistenziale saudita. Gli Houthi in Yemen hanno collegamenti con Teheran (che li considera parte della cintura sciita a cavallo del Medio Oriente); inoltre uno dei motivi profondi per cui Riad ha tagliato i ponti con Doha sta nell’atteggiamento aperto che i qatarioti tengono con gli iraniani (anche per ragioni di interesse su un enorme giacimento di gas naturale condiviso). L’Arabia Saudita ha più volte accusato l’Iran di dare protezione anche a terroristi sunniti, che abbandonando l’odio ideologico per il pragmatismo, hanno usato il territorio della Repubblica islamica come backstage per pianificare azioni nel Regno, con il beneplacito dei servizi iraniani. Il contrasto all’Iran è uno dei marchi di fabbrica su cui si muove –e cerca consenso – la politica estera di MbS (dunque non va dimenticata l’ottica propagandistica dietro a certi annunci).



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