Un recentissimo studio multidisciplinare del Boston Consulting Group si sviluppa in tre scenari previsionali sul futuro del mercato del petrolio. In tutti, il picco della domanda di greggio potrebbe essere già raggiunto tra il 2025 ed il 2030 contrariamente a quanto oggi prevedono la maggior parte degli analisti.
La presentazione di questo rapporto offre una buona occasione per tornare su questo tema dopo le analisi pubblicate nel 2015 e nel 2016. L’inizio dello studio non lascia dubbi: “Per decenni, il mondo si è abituato a una costante crescita della domanda di greggio, mentre cresceva il numero di automobili, aerei e navi. Ma adesso due fattori gettano dubbi sulla certezza che la domanda continui a crescere indefinitamente: i progressi nel campo dell’efficienza energetica e le possibilità sempre maggiori di sostituire l’oro nero con altre fonti”.
Mentre in Europa si aggiravano altri spettri (come scriveva un noto economista tedesco), dai tempi delle prime crisi petrolifere gli Stati Uniti sono ossessionati dallo spettro del “peak oil”: dal picco della domanda di petrolio.
Nel 1956 il geofisico Marion King Hubbert ha costruito un modello dell’evoluzione nel tempo della produzione di una qualsiasi risorsa fisicamente limitata, come le fonti di combustibili fossili. Il modello si materializza nella cosiddetta Curva di Hubbert: un grafico che rappresenta la produzione di una risorsa nel tempo e che si presenta come una caratteristica curva a campana.
Quando si scopre una certa risorsa e questa diventa importante per qualche applicazione, il suo sfruttamento cresce lentamente durante la fase pionieristica in cui si scoprono nuove zone ricche della sostanza e modi sempre più efficaci per procurarsela. In seguito la curva cresce sempre più velocemente mentre si realizza una catena sempre più estesa per l’estrazione, trasformazione, commercializzazione ed uso della risorsa. A un certo punto la curva raggiunge un massimo che fa la felicità degli investitori più sprovveduti. Dopodiché la produzione crolla perché i posti in cui ce la si può procurare facilmente si vanno esaurendo e occorrono tecniche sempre più costose per racimolare quello che ancora rimane. Col diminuire dei volumi entrano in crisi tutte le catene e tutti gli investitori che non erano saltati giù dal carro in tempo sono destinati a grandi perdite. Questa crisi generalizzata porta a ritirare la risorsa dal commercio e al fallimento delle industrie che nel frattempo non si sono riconvertite.
La teoria è stata sviluppata proprio per prevedere l’evoluzione del mercato del carbone, del petrolio e del gas, ma ha perfettamente previsto (anche se a posteriori) diversi altri fenomeni come l’evoluzione e il successivo crollo del commercio della carne dei bisonti americani durante la conquista del West o dell’olio di balena usato per l’illuminazione nell’800. Anche bisonti e balene, come i combustibili fossili, sono – anzi, erano – risorse limitate.
Come premessa, gli analisti del BCG danno come “una quasi certezza” che la domanda di petrolio crollerà se il prezzo del barile tornerà sopra i 100 dollari, ma questa è una opportunità piuttosto remota per le ragioni che abbiamo già discusso. Possiamo quindi metterla da parte ed analizzare i tre scenari ipotizzati.
Il primo degli scenari considerati prevede una rivoluzione nel settore dell’autotrasporto guidata da Tesla, General Motors e Volkswagen. Tutte e tre queste compagnie prevedono di lanciare automobili elettriche a prezzo accettabile sul mercato dei consumi di massa e si sentono in grado di innescare un cambio di paradigma nel settore.
La sostituzione delle auto a combustibili fossili con quelle elettriche potrà avvenire solo se il prezzo delle singole batterie scenderà al di sotto dei 100 dollari per kWh ma sarà indispensabile che queste siano ricaricabili molto più rapidamente e sopportino un numero molto più elevato di cicli di carica e scarica. In queste ipotesi, si prevede nel 2040 il 90% delle vetture circolanti sarà elettrico nei Paesi tecnologicamente avanzati mentre per quelli emergenti bisognerà aspettare il 2050.
Questa simulazione prevede che il picco petrolifero verrà raggiunto tra il 2025 e il 2030 per poi subire un calo del 13% (rispetto al riferimento) già nel 2040. Ma non dimentichiamo che questo scenario potrà essere percorso soltanto se la ricerca e lo sviluppo di batterie più efficienti avrà portato ad almeno una tecnologia rivoluzionaria nel settore dell’immagazzinamento di energia elettrica.
Il secondo scenario ipotizza una crescita economica globale del 3% annuo in termini reali e avanzamenti tecnologici nel settore dell’efficienza energetica promossi da una combinazione di incentivi e penalizzazioni governative. Questi potrebbero essere costituiti da motori a combustione interna più efficienti, materiali più leggeri e tecniche più efficaci per la produzione degli autoveicoli, per esempio con l’uso di stampanti 3d per realizzare motori e abitacoli con risparmi di materiale impensabili con le tecnologie di produzione tradizionali. Altri contributi potrebbero venire da materiali strutturali più leggeri, elettroniche per un controllo ottimale del motore in funzione delle prestazioni richieste, ma anche da tecnologie per la guida autonoma in grado di ottimizzare i consumi. In queste ipotesi, il consumo medio degli autoveicoli dovrebbe scendere a 4,3 litri per 100 km (metà rispetto ai valori medi attuali) nei Paesi ricchi e di 6,3 litri per 100 km in quelli emergenti. Si avrebbe così un picco nel 2026 per arrivare a un calo della domanda di petrolio che raggiungerà il 21% in meno già nel 2040.
Il terzo scenario immagina che il costo del gas scenda al di sotto di 1 dollaro per ogni 60 kWh prodotti (corrispondente al prezzo all’inizio del boom della produzione di gas da giacimenti scistosi e circa alla metà di quello attuale). Questo darebbe un forte incentivo alla sostituzione dei mezzi di trasporto a combustibili liquidi con mezzi a gas ma, soprattutto, guiderebbe la riconversione della produzione industriale di energia elettrica dalle centrali a carbone verso quelle a gas. Inoltre, l’industria petrolchimica verrebbe ridisegnata per realizzare i principali prodotti chimici partendo da etano (un sottoprodotto dell’estrazione del gas naturale) piuttosto che dalla nafta di origine petrolifera. In più, se il prezzo del petrolio dovesse arrivare a superare i 60 dollari al barile, anche i trasporti pesanti su strada e su nave passerebbero rapidamente all’alimentazione a gas. Il combinato disposto di questi effetti provocherebbe il raggiungimento del picco nel 2025 e quindi un plateau che scenderebbe solo dell’8% entro il 2040, sempre rispetto al caso di riferimento.
Ciascuno scenario prevede il raggiungimento del picco, ma se si verificassero contemporaneamente più di uno di questi, il calo effettivo della domanda di idrocarburi diventerebbe una probabilità sempre più concreta.
Questo non significa che il petrolio scomparirà dall’oggi al domani ma solo che andrà incontro ad un lento declino: anche se si verificassero tutti e tre questi scenari, nel 2040 sarebbero ancora necessari 80 milioni di barili di petrolio al giorno rispetto ai 92 milioni che vengono consumati oggi. Se il calo fosse distribuito in modo uniforme su tutte le compagnie energetiche, significherebbe che nel 2040 Eni dovrebbe ancora produrre 1,6 milioni di barili al giorno per fare fronte ad una domanda che oggi soddisfa grazie alla produzione quotidiana di 1,8 milioni di barili.
Le compagnie energetiche dovranno però prendere in considerazione questi possibili scenari. Ne vale la pena perché, anche se risultassero non realistici, non significherà certo che il picco del petrolio non sarà mai raggiunto ma solo che arriverà un po’ più tardi.
Per questo, ogni compagnia deve rimettere in discussione il proprio modello di business per adattarsi alle variazioni di scenario, massimizzare la competitività delle proprie risorse e delle proprie infrastrutture per migliorare la propria efficienza attraverso migliori strumenti manageriali, tecnologie e soluzioni digitali.
Già sul medio periodo risulterà pagante diversificare il proprio portafoglio privilegiando il gas rispetto al petrolio ed al carbone perché il primo rimarrà in un mercato in espansione quando gli altri due fossili avranno già superato il famigerato picco e saranno in pieno declino.
Diversificare il proprio portafoglio significherà soprattutto investire sempre più intensamente già oggi nelle energie di domani: le rinnovabili ora presentano ampi margini di miglioramento e chi oggi avrà investito di più nella ricerca e nello sviluppo di nuove fonti di energia verde si troverà domani in vantaggio competitivo rispetto agli altri.
Queste analisi prescindono completamente dagli aspetti ambientali. Ma la mitigazione del cambiamento climatico diventerà un motore del rilancio non solo delle compagnie energetiche più responsabili ma anche di quelle più refrattarie alle problematiche ambientali a causa delle (anzi: “grazie alle”!) azioni sempre più intense che i governi eserciteranno in favore della protezione ambientale spinti a loro volta dalle pressioni dell’opinione pubblica che li mantiene al potere.
Questi fenomeni saranno verosimilmente causa di trasformazioni profonde alle quali l’industria degli idrocarburi, “caratterizzata da evoluzioni lente”, ma anche governi e investitori, devono sapersi preparare; tenendo presente che diverse tendenze del mercato concorrono a determinare la prospettiva sempre più concreta di un calo della domanda di petrolio. Guardando a casa nostra, Eni sta investendo molto sia sulle rinnovabili che sulla protezione ambientale e questo – oltre a fare bene al clima – potrà offrire un futuro vantaggio competitivo proprio all’Italia ed alla sua compagnia di bandiera.