Ieri e oggi si sta svolgendo in Campidoglio la Terza Conferenza Nazionale sulla Famiglia. L’importanza del tema non ha bisogno di particolari spiegazioni ed ha trovato conferma nella presenza ieri tra gli altri, oltre che del sindaco di Roma Virginia Raggi e del presidente della Camera Laura Boldrini, anche del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Mentre Boldrini si è concentrata nel suo intervento prevalentemente sui diritti delle donne, Gentiloni ha proposto un ragionamento a tutto tondo su questo istituto di diritto naturale che costituisce nella sua interezza la “cellula base della società”.
In effetti, è difficile non essere d’accordo con il premier sul fatto che “a mano a mano che usciamo dalla fase più dura della crisi economica è necessario fare progetti più ambiziosi per sostenere le famiglie. Di tutto abbiamo bisogno, infatti, tranne di un conflitto generazionale. Anche se un patto intergenerazionale non si fa ai tavoli del governo ma valorizzando il ruolo delle famiglie”. Dunque, la famiglia al centro, non soltanto nelle priorità del centrodestra, come è e deve essere, ma anche nella sensibilità dell’attuale maggioranza di centrosinistra.
Bene. Bisogna però osservare che, al di là dei proclami in ogni caso utili di per sé, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: e tra vantare un valore e aver fatto una politica coerente con esso vi è la distanza addirittura di un oceano.
La tesi di fondo di Gentiloni è ampiamente condivisibile, insomma, specialmente quando viene riconosciuta la funzione relazionale affettiva per ogni persona della sfera familiare, nonché il ruolo di compensatore sociale che il welfare di prossimità ha sempre svolto e continua a garantire da decenni in Italia: ad esempio, nell’assistenza agli anziani che le giovani generazioni di figli garantiscono spontaneamente verso i propri genitori, nell’aiuto che i genitori stessi danno ai figli anche in età non giovanissima, nel grande contributo educativo e organizzativo che i nonni svolgono con i nipoti, e così via. Ma se si pensa questo, allora si agisca di conseguenza. In sostanza, senza una famiglia forte tantissime persone, per non dire quasi tutti, oggi non riuscirebbero ad andare avanti nella vita quotidiana: diamogli allora l’eccezionale preminenza che gli spetta!
D’altronde, non è utile mai nascondersi dietro il velo dell’ipocrisia. Le politiche familiari in Italia non sono mai collocate come priorità nelle leggi di Bilancio o nelle programmazioni economiche dei governi, e non compaiono realmente quasi mai anche semplicemente nei progetti e nelle azioni pratiche dei movimenti politici.
In primo luogo, sostenere la famiglia significa lavorare a favore della sua stabilità nel tempo, ferme restando le libertà di tutti i suoi membri. Tanto più che questa sua forza intrinseca oggi è minata da enormi difficoltà e da una mutazione storica dei processi individuali che rendono facilmente conflittuali le relazioni coniugali e molto fragili gli apporti di sicurezza morale, sentimentale ed educativa che i genitori devono ai propri figli. Non è vero che la politica non possa fare nulla in questo senso. Basta volerlo. Proporre una fiscalità conveniente, dare alla famiglia, com’è in Francia ad esempio, un ruolo di soggetto fiscale favorito nella sua unità, permettere l’accesso del singolo nucleo strutturato al microcredito sono modi concreti e sperimentati per appoggiare quanto la Costituzione stessa sostiene in merito alla famiglia, investendo realmente sulla sua saldezza e durata, senza relativizzarne il valore derubricandolo ad altro.
Dopodiché, certo, vi è la grande questione della coperta corta. Vale a dire, come il ministro Padoan ha ieri denunciato, che in genere tanti soldi da spendere in questo momento non ce ne sono per niente e per nessuno. Ma proprio perciò sarebbe necessario fare una scelta a favore della famiglia tra i tanti diritti che si vogliono creare, conservare e implementare dal punto di vista sociale.
Se si ritiene veramente, insomma, che la famiglia sia una priorità politica, bisogna entrare nell’ordine di idee di subordinarne altre reputate meno importanti ad essa. Se, ad esempio, il dibattito sui diritti civili (di per sé apprezzabili, intendiamoci) fosse stato collegato strettamente ad una chiara distinzione tra il soggetto familiare autentico e altre forme di convivenza legittime ma non familiari, allora forse si sarebbe ragionato e agito più efficacemente per la famiglia, e meno su dove trovare i soldi per farlo.
Nelle precedenze sostanziali di una politica moralmente accurata, infatti, prima viene l’interesse generale, poi viene quello familiare e dopo, solo dopo, i diritti individuali. Anche perché quest’ultimi sono portati avanti indirettamente quando comunità e famiglia sono rafforzate e promosse con intelligenza e lungimiranza. Se le risorse scarseggiano, d’altronde, i diritti sociali hanno un’intuitiva e logica anteriorità rispetto a diritti che non producono reale solidarietà, che sono sganciati da doveri e impegni verso gli altri, stimolando, alla fin fine, esclusivamente rimostranze egoistiche senza solidarietà e coesione.
La speranza, in definitiva, è che nella prossima campagna elettorale la salvaguardia e il sostegno alla famiglia abbia una precedenza indiscutibilmente netta nei programmi di tutte le forze politiche, e che almeno alcuni partiti pongano questo obiettivo come valore costitutivo della propria missione politica. La famiglia, infatti, è garanzia di libertà e di solidarietà personale, e lavorare per una famiglia forte è il più significativo contributo educativo che può dare uno Stato democratico e liberale alla salute e alla legalità del proprio Paese. Non da ultimo, infatti, è dalla famiglia che deriva il futuro umano ed economico della società, ed è unicamente dalla famiglia naturale che può venire quell’auspicata crescita demografica, senza la quale anche le finanze pubbliche saranno destinate ad una sicura bancarotta, e l’integrazione tra nuovi e vecchi cittadini impossibile.