La vicenda della violenza di Rimini, e quella dei successivi arresti e confessioni dei colpevoli, riapre il dibattito in Italia su cittadinanza e Ius Soli.
Certo nell’immaginario di tutti appare assai difficile pensare che il modo in cui è percepita generalmente l’insicurezza nelle nostre città renda politicamente percorribile un iter di legge che mira appunto ad allargare il diritto di cittadinanza, invece di rafforzare doveri e controlli dello Stato. E l’efferatezza compiuta da ragazzi così giovani a danni di ragazze altrettanto giovani apre un capitolo estremamente grave sulle condizioni di disagio in cui versa la nostra società.
Gli episodi si moltiplicano ogni ora. Non da ultimo il senatore Alberto Airola del M5S aggredito nella notte a Torino da due uomini che si sono dati alla fuga dopo averlo malmenato e avergli rubato il cellulare. D’altronde basta prendere uno qualsiasi dei giornali locali per trovare episodi di questo genere praticamente ogni giorno e dappertutto.
La prima considerazione da fare riguarda certamente il fenomeno in sé della violenza microcriminale. È del tutto evidente che a compierla non sono unicamente gli stranieri. La criminalità crescente deriva da un disagio sociale prosperante, il quale coinvolge un po’ tutti i contesti. Ciò nondimeno non si può neanche fare finta che le ragioni di questo incremento dello sfaldamento delle nostre comunità, dell’emarginazione che ne consegue e della perdita di controllo pubblico sulla condotta delle persone, non sia collegato anche a questo enorme flusso di stranieri, quasi sempre senza lavoro e abbandonati ad una vita periferica e “dannata”.
Dal punto di vista politico è chiaro che la questione dell’ordine pubblico, e di come arginare la violenza sociale, è e sarà sempre di più al centro della discussione politica, anche perché è il più serio snodo che caratterizza il nostro tempo. Ed è altrettanto chiaro che si sta verificando una forte polarizzazione sulle soluzioni da prendersi.
Nella logica del centrosinistra, espressa dal capogruppo del Pd al Senato Zanda, (nella foto), la priorità è fare entro l’autunno una legge sullo Ius Soli, definita una soluzione equa, giusta e civile. Tale opzione, che ha una chiara finalità strategica, è giustificata palesando l’arretratezza dell’Italia rispetto all’Europa da questo punto di vista. Il nocciolo della tesi riposa sul fatto che vincere la violenza significhi eliminare l’emarginazione. E ovviare a questa è possibile solo integrando gli stranieri nell’eguaglianza, concedendo loro una cittadinanza nativa.
Sull’argomento cittadinanza la contrapposizione con il centrodestra non potrebbe essere più forte. Il capogruppo di Forza Italia al Senato Gasparri ha definito tale norma irresponsabile. Egli ha notato che se fosse in vigore la legge che la sinistra vuole sullo Ius Soli i due marocchini arrestati per lo stupro di Rimini sarebbero oggi cittadini italiani.
Pertanto è chiaro che la tematica non può essere affrontata e risolta bonificando ed elargendo a piè leggero la cittadinanza. In fondo si finirebbe non per risolvere ma per aggravare il contrasto alla criminalità, aumentando i diritti di incalliti criminali stranieri. Il punto credo sia proprio in questo passaggio delicato che divide i due fronti politici. Che significa cittadinanza? E quale diritto dà averla?
Per rispondere bisogna partire dalla persona umana, e dal suo essere inserita sempre in una sfera comunitaria: innanzitutto, la famiglia; poi la città; quindi il cerchio più esteso nel quale essa vive, lo Stato.
Il concetto di cittadinanza deriva da quello di comunità e fonda lo Stato. E tutto ciò si collega ad una serie di connotati sociali, lingua e tradizione, che nel tempo hanno consolidato la natura del diritto di cittadinanza. Si definiscono, infatti, cittadini, tutti coloro che appartengono ad una comunità nazionale e partecipano alla vita di uno Stato. Ovviamente non tutti coloro che vivono nel territorio nazionale sono cittadini. Nel nostro tempo non soltanto vi è libera circolazione tra le nazioni europee ma vi sono tanti abitanti che non sono per nulla membri neanche della comunità europea.
Il punto è che la cittadinanza implica dei doveri legali e fiscali, e la cittadinanza conferisce diritti del tutto particolari, come la partecipazione attiva e passiva alla sovranità politica, e così via.
Pertanto, proprio in un mondo molto eterogeneo è quanto mai fondamentale lasciare in piedi la distinzione tra cittadini e non cittadini di uno Stato, concedendo il relativo diritto di cittadinanza a chi non è parte storica della comunità nazionale in maniera molto parsimoniosa, non senza aver prima valutato e assodato la reale integrazione socio-culturale e la piena consapevolezza dei doveri che essa implica per qualcuno divenire italiano. Non essendo un diritto originario della persona, la cittadinanza è un privilegio anche oneroso che necessita valutazioni approfondite.
Se si guarda poi alla criminalità, bisogna considerare che un cittadino italiano che è condannato in sede definitiva subisce una riduzione del principio di cittadinanza: non ha per il tempo della detenzione libertà di movimento, non ha diritto di usare i propri beni e non ha diritto di partecipare effettivamente alla vita politica. Tra l’altro la legge Severino vieta anche di essere parlamentare o senatore a chi è condannato in sede definitiva.
Dunque, la mia conclusione è chiara. Non soltanto lo Ius Soli è una soluzione sbagliata ad un problema giusto, ma si tratterebbe semmai di essere più restrittivi con i diritti anche con i cittadini già italiani, mettendo, ad esempio, l’ergastolo per i reati di violenza sessuale contro i minori, e pene importanti per chi pratica la tratta degli esseri umani, speculando sull’immigrazione clandestina.
Perché esistono, d’altronde, gli Stati?
La risposta è che essi esistono al servizio delle persone che vi vivono all’interno. E sebbene ogni persona umana abbia dei diritti nativi anteriori allo Stato, lo Stato deve garantire non a tutto il genere umano, ma ai suoi cittadini in primis sicurezza, giustizia e legalità. Davanti alla violenza che cresce, insomma, si deve rafforzare lo Stato e non estendere la cittadinanza. La seconda soluzione, infatti, è in contraddizione con la prima. E solo la prima è risolutiva del problema criminalità.