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“L’Italia che vogliamo”, lo slogan che affascina Tajani, Berlusconi, Prodi e Renzi

Questione di slogan. Il presidente del parlamento europeo, Antonio Tajani, ha scelto “L’Italia e l’Europa che vogliamo”. La sesta edizione della convention del Ppe s’è tenuta a Fiuggi, nel Lazio. Una tre giorni di dibattiti che ha visto la partecipazione di importanti esponenti del centrodestra e che s’è conclusa domenica col gran finale affidato al leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi. “L’Italia e l’Europa che vogliamo”. Uno slogan semplice, efficace, diretto. Caro pure al centrosinistra, o meglio agli ulivisti.

L’EUROPA CHE VOGLIAMO

Il sito www.leuropachevogliamo.it è ancora online, anche se l’ultimo intervento risale al maggio del 2016. Tajani e il Ppe, però, non c’entrano. L’indirizzo della manifestazione di Fiuggi è www.europachevogliamo.ue. Dominio simile, pianeti opposti. “L’Europa che vogliamo” era un movimento attivo soprattutto in Liguria e allargava i confini dei comitati denominati “L’Italia che vogliamo”, costituiti per appoggiare l’allora leader dell’Ulivo e futuro presidente del Consiglio, Romano Prodi (nella foto). Il presidente dell’Europa che vogliamo era l’avvocato genovese e fedelissimo di Prodi, Mario Epifani. “L’Europa che vogliamo”, si legge sul sito, “è quella di Romano Prodi, attuale presidente della commissione europea e fondatore dell’Ulivo. Evidente è il richiamo all’Italia che vogliamo, sintesi efficace della linea politico-programmatica dell’Ulivo prodiano. E’ l’Europa cui Prodi si sta dedicando senza risparmio di energie e alla quale non vogliamo far mancare il nostro sostegno. Ci proponiamo di alimentare in Liguria la cultura politica su questa concezione di Europa, sulla condizione del nostro Paese, sul futuro della nostra terra ligure, pienamente consapevoli di essere cittadini dell’Europa e del mondo. L’Europa che vogliamo è quella dei suoi padri fondatori italiani, da Alcide De Gasperi ad Altiero Spinelli, un’Europa che nulla – ma proprio nulla – ha da spartire con quella – subìta e svenduta – di Berlusconi, Fini e Bossi”. I comitati “L’Italia che vogliamo”, pur senza essere un partito politico, furono determinanti per la nascita dell’Ulivo e per l’ascesa di Prodi al governo. “Corrispondentemente”, è scritto sul sito www.perlulivo.it, “i vari comitati che si sono costituiti per sostenere l’azione del prof. Romano Prodi tendente ad aggregare e coordinare partiti, movimenti e associazioni che intendono unirsi al fine di creare un’alternativa al polo che fa riferimento alla persona dell’on. Berlusconi, non si possono considerare articolazioni politico-organizzative di un partito politico. Infatti i vari comitati sono sorti spontaneamente e agiscono in piena autonomia, limitandosi il comitato per l’Italia che vogliamo a coordinare la loro attività”.

L’ITALIA CHE VOGLIAMO

Da Prodi a Matteo Renzi. Dall’Ulivo al Pd. “La riforma e l’Italia che vogliamo” era il titolo di uno studio a favore della riforma costituzionale pubblicato da Sergio Fabbrini, docente di Scienze politiche e relazioni internazionali alla Luiss di Roma e direttore della Luiss School of Government. “La riforma costituzionale introduce un cambiamento storico nella democrazia italiana: il superamento del bicameralismo paritario”, aveva scritto Fabbrini sul Sole 24 Ore, di cui è editorialista. “Se la riforma verrà approvata dagli elettori, la fiducia al governo verrà data solamente dalla Camera dei deputati. Come avviene in tutte le grandi democrazie parlamentari. Questo è il punto. Con la riforma, finirà il ping-pong delle leggi da una camera all’altra. Quando si dovrà votare la legge finanziaria dello stato, ad esempio, non ci sarà più la competizione tra deputati e senatori ad avanzare richieste particolari per incrementare le rispettive fortune elettorali nella propria circoscrizione. Il processo decisionale sarà semplificato e reso più efficiente”. Ognuno ha la propria idea dell’Italia e dell’Europa. Chi le vuole in un modo, chi nell’altro. Gli slogan, invece, sono sempre gli stessi.



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