Guardo sempre con attenzione (e con viva simpatia: proprio nel senso di “sentire con”) le ragazze e i ragazzi, dagli adolescenti fino ai trentenni, nella lunga e a volte interminabile nozione di “giovinezza” oggi prevalente. D’inverno, li osservo sull’autobus, in metropolitana, in palestra, e naturalmente nelle occasioni pubbliche legate alla mia attività. L’estate, al parco, o più raramente in spiaggia o in piscina.
Ovvio che ogni ragazza, ogni ragazzo, ogni individuo abbia una sua specificità, e che le generalizzazioni siano sempre sfocate, imprecise, fotografie mosse. Eppure, senza pretese di sistematicità, senza affezionarsi a schemini e caselle, e da sociologismi d’accatto (il buon Dio o chi per lui ce ne scampi!), vedo almeno tre tendenze da considerare.
La prima è ovviamente la forza della cultura visual, il trionfo dei social network come dimensione decisiva e letteralmente vitale dell’esistenza, il tempo dedicato allo smartphone. Non c’è da demonizzare, c’è da capire. In positivo, l’attitudine a condividere, e la grande consolazione del non essere mai del tutto soli. Ancora in positivo, l’abitudine agli stimoli, all’esser sempre connessi, a ricevere input continui. In negativo, il fatto che tutto si risolva, molto spesso, in “sessioni” istantanee, dieci-quindici secondi per volta, scrivendo senza rileggere, e non leggendo oltre le due righe. La concentrazione, l’atto di rileggere-riscrivere-ripensare, lo sforzo prolungato di attenzione, sono comportamenti ormai obsoleti, usciti dai radar.
La seconda tendenza è il crescente divario tra la forza fisica, uno sviluppo impressionante già per i (e le) teenager, e una inaspettata, sorprendente fragilità emotiva. Così forti fuori, ma così vulnerabili dentro, già alla prima difficoltà, così esposti a risentire delle cadute che naturalmente il cammino – ogni cammino – ci riserva.
La terza – appendice probabilmente scontata della seconda – è un rapporto libero con il corpo e il sesso. Da ormai vecchio libertario, dovrei gioire per una conquista rispetto a quanto accadeva anche solo qualche decennio fa: eppure, forse, c’è qualcosa di ingannevole in questa facilità di approccio tra ragazze e ragazzi. La sensazione è che spesso manchi una carezza, un minimo di tenerezza e di affetto, oltre a “farsi quella o quello”, come certificano il giorno dopo ragazze e ragazzi sul bus o in metro (in genere, più scientifiche le prime). Lungi da me invocare chissà quale “impegno” o raccomandare prudenza in chiave bacchettona. Farei ridere: non ci ho mai creduto… Ma, accanto alla libertà, vale la pena di non dimenticarsi la sua sorella più ostica e severa, la responsabilità: ricordare che ogni cosa, ogni rapporto, richiede attenzione, tempo, la fatica della comprensione e dell’immedesimazione. E serve anche ricordarsi che dall’altra parte c’è un’altra persona, che può essere ferita – anche involontariamente – da un nostro comportamento.
L’ho fatta troppo lunga. E non invidio genitori e insegnanti a cui toccherebbe il compito (magari, staccandosi anche loro dai propri smartphone…) di guardare negli occhi i loro ragazzi, ascoltarli, e trovare una parola che catturi la loro attenzione. Anche solo per quindici secondi.