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Perché vendere gli S-400 alla Turchia di Erdogan è una mossa strategica di Putin

La Turchia avrà gli S-400 russi. L’annuncio ufficiale su un accordo da mesi in discussione – c’erano anche questioni di finanziamento in ballo – è arrivato martedì 12 settembre: Mosca venderà il più tecnologico sistema di difesa aerea che ha a disposizione ad Ankara. È la chiusura definitiva del cerchio incantato che in questo momento collega Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan.

Gli S-400 non sono un’arma che la Russia vende a chiunque: chiedere per esempio all’Iran, che ha una trattativa in corso che muove lentissima perché, da un lato Israele pressa Mosca (perché teme che in quel modo Teheran potrebbe coprire eventuali le malefatte nucleari e difendersi da conseguenti raid aerei punitivi), ma nemmeno i russi si fidano fino in fondo degli ayatollah come partner (troppo ideologizzati).

Vendere gli S-400 alla Turchia significa creare disturbo alla Nato, però, e per questo l’affare è per il Cremlino un interesse molto più strategico che economico (valore: 2,5 miliardi di dollari, comunque). Oggi il presidente Erdogan è andato sull’argomento davanti ai giornalisti e durante un incontro con i sindaci espressione del suo partito ha detto: “Sono impazziti perché abbiamo fatto l’accordo sugli S-400, ma cosa dovremmo fare, aspettare? Prendiamo e prenderemo tutte le misure necessarie sul fronte della sicurezza”.

“Sono impazziti” è riferito agli alleati Nato che hanno espresso preoccupazioni facendole passare per gli aspetti tecnici: ha parlato per esempio un portavoce del Pentagono, Johnny Michael, che in uno statement scritto ha detto che “un sistema di difesa missilistico interoperabile della Nato rimane l’opzione migliore per difendere la Turchia dalla piena gamma di minacce nella sua regione”. L’interoperabilità è uno dei requisiti base di un’alleanza militare, e ovviamente con gli armamenti di fabbricazione russa questo non è possibile. Però, al di là dell’aspetto tecnico, al centro della questione c’è la volontà d’indipendenza strategica che con l’acquisto Erdogan ha marcato. Ricorda a proposito il Daily Sabah, una velina del presidente, che già nel 2013 Ankara stava per chiude un affare con la cinese China Precision Machinery Import-Export Corporation, ma poi sotto le pressioni della Nato dovette mollare tutto, ma adesso era arrivato il momento per procedere.

Stavolta è diverso anche perché Putin sta usando la Turchia come vettore anti-occidentale. Con buona pace di chi un paio d’anni fa seguiva la linea propagandistica che Mosca dettava su Sputnik e Russia Today, dove si incolpavano i turchi di essere i grandi finanziatori occulti dello Stato islamico, ora la Russia ha riqualificato Ankara come alleato (strategico). Per forma l’ha chiamato dentro al dossier siriano, sono lontani i venti di guerra dopo l’abbattimento del caccia russo sul confine con la Siria ordinato da Erdogan: ora i turchi sono parte da usare e sbandierare al tavolo di negoziazione di Astana, quello che la Russia ha creato per risolvere il conflitto in Siria in via alternativa – e polemica – con i talks condotti dalle Nazioni Unite.

Per sostanza Putin usa Erdogan come pedina di contrasto all’Occidente, con il turco che si sente rinvigorito dopo che, accordo sull’immigrazioni, i rapporti con i paesi europei sono complicati (vedere i contrasti con la Germania: il ministro degli Esteri Sigmar Gabriel ha già detto che tutte le forniture militari tedesche alla Turchia saranno bloccate perché la Nato non sapeva niente sui dettagli della vendita degli S-400) e si vede tradito dagli americani che hanno scelto gli odiatissimi curdi siriani come partner per le campagne militari contro l’IS in Siri (sintomo che le relazioni con Washington non vanno certo a gonfie vele). “Su questo punto (l’interesse strategico russo, ndr), si può capire la reazione di alcuni paesi occidentali che stanno cercando di esercitare pressioni sulla Turchia” ha detto il consigliere militare di Putin Vladimir Kozhin.



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